Maschio e femmina

Bianco, eterosessuale, cattolico: l’uomo che non fa notizia

tristezza

di Ida Giangrande

Nel tentativo di abbattere gli stereotipi che per anni hanno ingabbiato in maniera brutale e mortificante alcune figure sociali, ne stiamo creando di altri e più pericolosi. Si può parlare di emancipazione sociale della donna senza demonizzare l’uomo?

L’anno scorso in occasione dell’otto marzo, Festa della Donna, la mia seconda bambina, fu coinvolta in una manifestazione pubblica contro la violenza di genere. Era previsto un flash mob in piazza, ed io, come tante altre mamme, ero lì con il telefonino in posizione pronta a scattare qualche foto da mettere nell’album dei ricordi. Lo confesso, avevo già qualche lacrimuccia pronta a venire fuori. Tuttavia dopo la prima sequenza e l’ovazione generale dei genitori presenti, l’atmosfera intorno a noi cominciò a cambiare.

Dal palchetto, allestito per l’occasione, una delle tante associazioni presenti cominciò a mettere in scena storie di amori malati, dove quello che all’inizio sembrava essere il principe azzurro, in seconda istanza si trasformava nell’orco cattivo, un mostro da cui difendersi. Nessuno vuole negare la realtà, nemmeno io intendo farlo. So benissimo che dietro ogni caso di violenza psichica o fisica c’è quasi sempre la mano di un uomo. Sono una donna, madre di due bambine e non vorrei mai che si trovassero un giorno ad affrontare il dramma di una violenza. Non vorrei mai che l’uomo della loro vita diventasse all’improvviso un aguzzino, ma devo anche ammettere che guardando gli uomini presenti a quella manifestazione, padri commossi quanto me nel vedere l’esibizione dei loro piccoli, avvertii uno strano fastidio in fondo al cuore. Qual era il messaggio che stavamo consegnando alle ragazzine presenti? Che l’uomo è un male da cui fuggire o quantomeno da guardare con sospetto? Una possibilità che mi ha messo una certa inquietudine. Un’eventualità pericolosa che, ancora oggi, mi sembra allargare il divario tra uomo e donna invece di ricongiungerli come alleati che combattono la battaglia fianco a fianco.

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Quanti uomini sani, mi sono chiesta in quel momento, esistono in giro per il mondo? Molti erano lì insieme alle loro mogli, avevano chiesto permessi a lavoro, alcuni avrebbero recuperato le ore perse durante la pausa pranzo, ma erano venuti per non deludere le aspettative dei figli, e li salutavano lanciandosi dalla folla con la mano alzata mentre invocavano a gran voce il nome del bambino o della bambina. Scene ordinarie di quella quotidianità spesso dimenticata, nascosta sotto un velo di polvere che pure esiste e sarebbe perfettamente in grado di mettere in ombra il marcio se solo noi media focalizzassimo di più l’attenzione sul bene che sul male.

Manca poco meno di un mese all’otto marzo e spero di non trovarmi di fronte lo stesso siparietto dell’anno scorso, perché ho la sensazione che nel tentativo di abbattere gli stereotipi che per anni hanno ingabbiato in maniera brutale e mortificante alcune figure sociali, ne stiamo creando di altri e più pericolosi. Oggi, ad esempio, se sei bianco, eterosessuale, cattolico e per giunta uomo sei una specie di nemico pubblico, ma attenzione: se nel difendere il diritto civile di una categoria di persone calpestiamo quello di un’altra entreremo in un circolo vizioso che non avrà mai fine. Dunque mi chiedo e vi chiedo: si può parlare di emancipazione sociale della donna senza demonizzare l’uomo? Io credo di sì, anzi credo che sia necessario e urgente imparare a farlo sempre di più e sempre meglio. Ne sono convinta come sono convinta che questa battaglia appartenga innanzitutto agli uomini, perché tutti hanno una sorella, un’amica, una fidanzata o una moglie in cui rivedere l’immagine delle donne violate, ma soprattutto perché ogni uomo ha un grembo che lo ha accudito, nutrito e protetto nei primi fondamentali mesi della sua esistenza terrena: il grembo di una donna.




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