Coronavirus

Nella zona rossa niente Celebrazione Eucaristica. Come si fa senza Gesù Eucaristia?

Santa Messa

(Foto: Di l i g h t p o e t - Shutterstock.com)

Di Ida Giangrande

Tra le conseguenze del Coronavirus l’interruzione di qualsiasi forma di aggregazione umana, Sante Messe incluse. Eppure nell’Eucaristia è racchiuso il mistero della fede.

Inutile fornire numeri del contagio e mappe geografiche che indicano zone rosse, ci pensano già i telegiornali e le agenzie di stampa a questo. Il Coronavirus è in Italia e ha già fatto vittime, persone che l’Italia piange insieme alle vite spezzate in altre parti del mondo. Il contagio si diffonde rapidamente insieme alla paura, una umanissima reazione più che giustificabile di fronte ad un nemico sconosciuto che, giorno dopo giorno, si fa conoscere attraverso le vittime che miete. 

Lo scenario nelle zone isolate è inquietante, chiuse le scuole, sospese le attività di aggregazione, ovunque si cerca di evitare il contatto tra le persone, i supermercati sono presi d’assalto, alcuni esercizi commerciali hanno già dovuto abbassare la saracinesca, le strade sono vuote e il ritmo quotidiano, quella routine che tante volte abbiamo deprecato, ha subito una brusca battuta d’arresto. Anche la vita delle parrocchie ha dovuto rileggere le proprie attività. Nella zona rossa gli oratori e gli incontri dei vari gruppi sono stati cancellati, niente Celebrazione Eucaristica. La domanda sorge spontanea: come si fa senza Gesù Eucaristia? Una domanda lecita per chiunque crede e spera in Dio. 

Tante sono state le epidemie che nel corso dei secoli hanno colpito l’umanità, mai avrei pensato si potesse arrivare a sospendere la Santa Messa. Una misura estrema in via precauzionale che evidenzia il desiderio paterno di molti Vescovi di proteggere e tutelare le persone da qualsiasi forma di contagio. Tuttavia, la sospensione delle Messe rappresenta un vero colpo per i cristiani, in quel piccolo pezzo di pane c’è racchiuso il mistero della fede, la speranza della disperazione, il coraggio di tenere alta la testa di fronte al nemico che incombe, anche il più temibile. Mi consola sapere che sospendere le Messe non vuol dire che i presbiteri non celebrino e quindi i tabernacoli non saranno vuoti, perché fin quando avremo un sacerdote pronto a celebrare, quel piccolo pezzo di pane sottoposto alle leggi della natura e alla consumazione della materia, si tramuterà in Corpo e Sangue di Gesù Cristo. Questo è il fulcro della Chiesa, quello che la tiene viva da secoli, che alimenta l’umanità e la spinge a cercare Dio nel silenzio del cuore dove nessuno può arrivare se non lo Spirito Santo. 

E in questo clima di sconcerto generale è significativo il gesto compiuto dal Vescovo di Pavia, Mons. Corrado Sanguineti, che in una lettera alla comunità ha esortato la popolazione ad imbracciare le corone per recitare il Santo Rosario e ha disposto che i parroci celebrino Messa a porte chiuse facendo suonare le campane per annunciare che “l’Eucaristia è offerta per i vivi e per i morti”. Il segno questo di una Chiesa che non abbassa le saracinesche ma è schierata in prima fila. E ancora sottolinea il Vescovo: “Questa situazione di prova, che siamo chiamati a vivere, può essere un tempo di purificazione e di maturazione della nostra fede se ci porta ancora di più a stringerci a Cristo Salvatore. […] Prendiamo in mano il Rosario e affidiamoci all’intercessione potente di Maria”. Parole sante che fanno sentire il calore della vicinanza della Santa Madre Chiesa.

Le epidemie cambiano la storia. Non è una novità, fin dalla più remota Antichità, le civiltà hanno dovuto affrontare varie ondate epidemiche che si sono spesso protratte anche per molti anni. La peste, il colera, il vaiolo e il tifo tanto per citarne alcune, hanno imperversato una dopo l’altra o contemporaneamente apparendo e scomparendo con il trascorrere dei secoli. La più impressionante è stata la peste nera che ha devastato l’Europa dal 1347 al 1352, sterminando tra il 25 e il 50% della popolazione e portando con sé grandi cambiamenti nell’economia, nella geopolitica. La Scienza non era nemmeno paragonabile a quella che è oggi, abbiamo un sistema sanitario che si è attivato subito. Proprio qui in Italia, a meno di 48 ore dalla diagnosi di positività dei primi due pazienti, i ricercatori sono riusciti ad isolare il virus responsabile dell’infezione, nei laboratori dell’ospedale Spallanzani di Roma. Ci giungono notizie che dall’Australia i ricercatori dell’Università del Queensland procedono spediti verso un vaccino, eppure le vittime sono già tante, troppe. 

È una guerra che possiamo vincere? Sì, restando saldamente uniti a Dio nella preghiera e tentando di accostarci all’Eucaristia con le dovute precauzioni, ma in ogni modo possibile perché l’Eucaristia è il Bene di prima necessità per un credente, il sostegno nella sofferenza, la serenità nella tormenta. Le Sante Messe sono sospese è vero, ma le chiese sono aperte e in alcune c’è Adorazione eucaristica perpetua un’opportunità importante insieme alla possibilità di ricevere la Santa Comunione anche al di fuori della Messa, secondo orari e modalità indicate dal parroco. Tuteliamoci ma non rinunciamo a Gesù. A noi tutti che siamo ancora fuori dalla zona rossa, tocca il compito di assicurare un cordone spirituale di preghiera che intrecciandosi a quello sanitario, tuteli le persone in quarantena e quelle contagiate dal virus. La nostra solidarietà va anche a medici e infermieri che sono sulla linea di fuoco, pronti a rischiare la vita per i pazienti. Un gesto di solidarietà umana che spesso supera i confini del “dovere” professionale e sconfina nella dimensione della “carità” intesa come assistenza gratuita e incondizionata al più debole e bisognoso di aiuto, a qualsiasi costo.




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