I Domenica di Quaresima – Anno A 1 marzo 2020

Il deserto, una nuova Alleanza

deserto

La quaresima è anzitutto un richiamo a scoprire ciò che realmente siamo. L’uomo è costituzionalmente legato a Dio; quel soffio iniziale è come un cordone ombelicale che nessuno riuscirà mai a spezzare del tutto

Dal Vangelo secondo Matteo 
Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

L’obiettivo del tempo quaresimale è quello di restituire l’uomo a Dio, farlo ritornare in quella comunione originaria da cui dipende tutto il resto. Tutto deve essere subordinato a questo scopo. I gesti della penitenza non hanno valore in sé ma in quanto strumenti di questa riconciliazione. Il peccato consiste nello smarrire l’origine e la destinazione, nel perdere di vista che Dio è il principio e la meta. L’io diventa così il principio e il criterio di misura. Non cerchiamo più la comunione con Dio, ci preoccupiamo solo di soddisfare le nostre esigenze. “State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita” (Lc 21,34): prendiamo sul serio questo ammonimento, il diavolo cerca di ubriacarci, cioè di farci perdere le coordinate, finiamo così per andare fuori strada, smarriti in mezzo agli affanni. È necessario imparare a trovare il tempo del silenzio in cui siamo davanti a Dio e cerchiamo Lui solo. 

“Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7) abbiamo letto nella I lettura. L’uomo è fatto di terra: la parola adam significa colui che viene dal suolo. Ma quest’uomo ha ricevuto il soffio di Dio ed è diventato un “essere vivente”. Ecco l’uomo: fragile e debole, perché fatto di terra; ed insieme grande perché creato ad “immagine di Dio” (Gen 1,26). È quel soffio originario che sostiene la nostra vita, che ci fa rialzare nelle cadute, che ci fa sempre guardare avanti, alla ricerca di un “di più”. La quaresima è anzitutto un richiamo a scoprire ciò che realmente siamo. L’uomo è costituzionalmente legato a Dio; quel soffio iniziale è come un cordone ombelicale che nessuno riuscirà mai a spezzare del tutto. Tuttavia l’uomo ha la libertà di porsi contro Dio, contro il suo stesso Creatore perché Dio non ha creato un robot ma un essere libero: dove non c’è libertà, infatti, non può esserci neppure amore. L’intenzione fondamentale di Dio era ed è quella di iniziare una storia d’amore. Se Dio è libertà e amore infinito; l’uomo, creato ad immagine di Dio, non poteva non essere libero, libero per amare. 

Diventare come Dio

La storia dell’uomo è anche una storia di peccato. Il peccato non significa semplicemente infrangere una legge ma tradire l’amicizia con Dio, rifiutare ogni legame con Lui, pensare di poter crescere senza di Lui. L’uomo ritorce contro Dio quell’ansia di infinito che da Lui ha ricevuto; egli cerca di “diventare come Dio” (Gen 3,5) senza Dio. La libertà non è data come possibilità di scelta fra bene e male; ma come condizione dell’amore. La vera libertà orienta il nostro essere verso Dio, ci fa riconoscere la nostra radicale dipendenza da Lui. La falsa libertà ci conduce lontano da Dio e, in fondo lontano anche da noi stessi. Dopo il peccato “si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi” (Gen 3,7): prima del peccato l’uomo era rivestito dell’amore di Dio, viveva della sua amicizia. Ora è solo, rivestito di fragilità.

Vita come lotta

In quella storia originaria vi è la storia di ogni uomo, anche la nostra storia. È un richiamo a riconoscere la grandezza di cui Dio ci ha fatto dono; ed insieme ad avere una chiara consapevolezza del nostro peccato, della nostra costitutiva fragilità. Il tesoro che Dio ci ha affidato noi lo custodiamo in vasi di creta. Il male è realmente presente nella storia, il diavolo c’è veramente. Dimenticarsi di questo, vivere con superficialità significa disperdere i doni di Dio. La vita cristiana è una lotta, un impegno quotidiano, un cammino di conversione permanente. La quaresima viene a svegliarci, a scuoterci dall’apatia e dal disimpegno. Ci invita a rifare alleanza con Dio, a riappropriarci di quella immagine che abbiamo ricevuto in dono fin dal primo istante della nostra vita. Dobbiamo restituire l’uomo a Dio e Dio all’uomo. Attenti però, restituire secondo la logica evangelica di Zaccheo, moltiplicando cioè il nostro impegno. 

Condotto dallo Spirito nel deserto

Se veramente vogliamo conoscere noi stessi, il progetto di Dio sull’umanità dobbiamo guardare a Cristo: è lui il modello dell’umanità. Guidati dalle parole, dall’esempio e dalla grazia di Cristo possiamo giungere rinnovati alla festa pasquale. L’episodio delle tentazioni nel deserto (cfr Mt 4,1-11), racchiude paradigmaticamente tutta la sua vita e quella dell’intera umanità. Dopo il battesimo, dopo quella voce del Padre che lo ha riconosciuto come “figlio”, è condotto dallo stesso Spirito nel deserto. La vita pubblica di Gesù comincia proprio con una lunga quaresima: nel deserto rimane solo con il Padre, chiarisce a se stesso il senso della missione che sta per cominciare. Ma il deserto è anche il luogo delle tentazioni: il diavolo si fa presente cercando di distogliere Gesù dalla sua missione. Di fronte alle molteplici tentazioni la risposta di Gesù è chiara: egli si appella alla Parola di Dio. Per tre volte risuona “Sta scritto”. È il richiamo di una roccia sicura: Gesù non confida in se stesso ma si abbandona alla volontà del Padre; proprio perché “Figlio” egli non ha difficoltà a riconoscere questo legame profondo ed essenziale che lo tiene legato al Padre. Accetta la lotta, dunque, ma trova nel Padre suo la forza del combattimento.

Le tentazioni

Nel deserto Gesù vince le tentazioni aggrappandosi a Dio. Egli mostra così anche a noi la strada sicura: la comunione con Dio viene prima di ogni altra cosa. La prima e fondamentale tentazione è quella di distogliere lo sguardo da Dio, di perdere la fiducia in Lui. La sensazione di sentirsi soli e abbandonati da tutti, anche da Dio, è il primo passo di una storia che poi conduce ad allontanarsi da Lui. Al contrario, chi custodisce la fiducia in Dio, affronta insieme a Lui la lotta. La tentazione per noi non consiste solo nel fare quello che è contrario a Dio ma anche nel fatto di vivere gli impegni non in obbedienza a Lui, non come dono suo ma come espressione di interessi umani. La logica perversa che oggi si diffonde si riassume in una semplice espressione: mi piace. La cosa più bella e santa è quella di fare solo per obbedienza anche ciò che non piace. Non è il piacere che è sbagliato ma il fatto di cercarlo come affermazione di sé. Il piacere l’ha inventato Dio non il diavolo, scrive Lewis nelle sue famose Lettere di Berlicche. In fondo il piacere è il segno visibile della gioia. Ma cosa ci lascia una grande pace? L’obbedienza a Dio. Il piacere più grande per noi consiste nell’obbedire a Lui. Tutto deve essere sottoposto alla legge dell’obbedienza. 

La vera tentazione è quella di distogliere lo sguardo da Lui, fare in proprio, come se la vita appartenesse a me. Proviamo a rileggere le tentazioni:

  • La fame e la tentazione del pane (4,2-4) consiste nel subordinare l’umano al divino: i beni materiali, anche quelli necessari, ai beni più grandi dello spirito. È Dio solo l’unico necessario. 
  • La tentazione del tempio è più sottile (4,5-7), tocca le corde della vanità, solletica l’uomo a camminare nei sentieri dell’apparenza e del successo, a sostituire la verità con le emozioni, la virtù con gli istinti più superficiali. 
  • La tentazione del monte, infine, sembra quella più sfacciata ma è ancora più insidiosa, è quella del potere: è una tentazione dalla quale l’uomo si libera solo con difficoltà. Il Vangelo mostra però la nudità del potere: esso nasce da una ben più grave schiavitù: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai” (4,9). 

In cammino verso la Pasqua

Per Gesù i quaranta giorni nel deserto sono solo un preludio alla missione e alla lotta che dovrà sostenere tutta la vita per rimanere fedele alla volontà del Padre e testimoniare fino in fondo il suo amore fra gli uomini. Una missione che trova il suo vertice nei giorni della passione. Anche per noi questa quaresima non può essere una parentesi, un tempo limitato in cui osservare taluni precetti. Deve essere invece un tempo forte che richiama il senso fondamentale del nostro essere, che orienta più decisamente la nostra vita verso Dio, origine e fondamento del nostro esistere, che ci mette decisamente in cammino verso la Pasqua, non solo la Pasqua di questo anno, ma la Pasqua eterna dove sederemo a mensa con Dio e, liberati da ogni colpa e da ogni male, vivremo sempre con Lui.


 

IL CAMMINO QUARESIMALE PER GLI SPOSI

di Giovanna Abbagnara, sposa e madre

Fiat, Adveniat e Magnificat, le tre parole della vita familiare

 

Cosa dice la Quaresima alla vita familiare? Nella liturgia cambiano i colori, cambiano le abitudini, cambiano gli atteggiamenti: non si dice il Gloria, non si acclama l’Alleluia. Si aggiungono a queste disposizioni antiche altre subordinate all’emergenza coronavirus, non ci si scambia la pace, si riceve la Comunione nelle mani… E noi? 

Noi siamo disposti a cambiare? Siamo disposti a metterci in discussione? Siamo disposti a fare questo cammino dietro a Gesù insieme alla nostra famiglia? Forse siamo disposti a rinunciare ai dolci, ci asteniamo dall’uso delle carni il venerdì, ma a queste rinunce corrisponde il desiderio di mettere da parte le nostre pretese e cercare come sposi prima e insieme ai figli poi la volontà del Padre? 

La vita di fede è una vita di relazione. E come in tutte le relazioni autentiche c’è un io e un tu. Un io che vuole essere felice e un tu che vuole renderti felice. Ma noi questo “Tu” vogliamo seguirlo veramente? Vogliamo iniziare una seria relazione con Dio? Cominciare una relazione significa impegnarsi, avere dei tempi in cui si dialoga, avere dei tempi in cui si litiga, avere dei tempi in cui si fa pace. Una relazione richiede il mettere da parte l’indifferenza, la freddezza, l’opportunismo. Una relazione ti chiede di rinunciare a qualcosa per fare spazio all’altro. Noi invece spesso pretendiamo di amare Dio senza cambiare di una virgola la nostra vita, senza cercare di capire veramente quello che ha da dirci. 

Come nel matrimonio, anche nella relazione con Dio tutti i sensi sono implicati: la vista che ci chiede nell’Adorazione di contemplare in quell’Ostia Santa il volto di Gesù, l’olfatto che ci permette di riconoscere il Pastore dall’odore delle pecore che si porta addosso (e che si rivela specie nei poveri), l’udito che ci permette di ascoltare la sua voce nella Parola, il gusto che ci permette di nutrici del Corpo di Gesù e di sentirne giù in fondo all’anima tutta la dolcezza e infine il tatto che attraverso un abbraccio, una stretta di mano ci fa sentire fratelli dell’unica Chiesa. La relazione è gestualità. I gesti di tenerezza manifestano l’amore tra chi si ama. I riti della fede sono pieni di gestualità. Entriamo in chiesa e ci inginocchiamo, quando il sacerdote ci dona l’assoluzione abbassiamo il capo, alziamo le mani al cielo per chiamare Dio Padre…. Sono tutti gesti di relazione. Guai a farli in modo automatico. È come se due sposi si scambiassero un bacio sulla bocca per abitudine, senza sentire tutta la dolcezza di quel gesto, cui partecipa il corpo e l’anima. Ebbene la Quaresima è il tempo di ritornare a gustare i gesti della fede. 

Il primo gesto che Gesù ci invita a compiere è andare nel deserto con Lui. Il deserto non è solo il luogo delle tentazioni. Il deserto è anche il luogo dell’Alleanza. È il luogo in cui Israele ha fatto alleanza con il suo Signore. È il luogo in cui sentiamo risuonare le parole del profeta Osea: “Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2,16-22). Il deserto è allora il tempo di ritornare a fare alleanza con Dio. È il tempo del fidanzamento. Per gli sposi può diventare una grande opportunità per riscoprire la bellezza e la gioia di stare insieme, di risentire le parole della promessa nuziale, di purificare lo sguardo dall’abitudine e dalle incomprensioni che rischiano di frenare il cammino. È un percorso da fare insieme e con consapevolezza. Trasformare il deserto dal luogo delle tentazioni e del possibile allontanamento al luogo dell’alleanza richiede preghiera, ascolto, coraggio e determinazione.  

Nella storia, infatti, in ogni storia d’amore, c’è un Nemico, qualcuno che s’intromette nel nostro rapporto. Il Vangelo lo chiama il Tentatore. Tentare vuol dire mettere alla prova, in questo caso significa cercare di indurre al male. Nessuno è obbligato a fare il male. Il successo della tentazione dipende in gran parte dalla persona tentata. L’obiettivo di Satana è semplice: tagliare i ponti con Dio, farci allontanare da Lui, voltare le spalle a Dio, allontanarci dal perimetro della nostra vocazione. Ma questo obiettivo viene raggiunto attraverso tappe intermedie: il maligno cerca anzitutto di alimentare il dubbio, poi insinua l’idea che questo Dio non deve essere poi tanto buono perché non si preoccupa per noi, ci lascia senza pane, successivamente invita a darsi da fare senza più attendere l’intervento di Dio, che forse non arriverà mai. Il Tentatore invita a non credere più alle promesse di Dio, suggerisce di ribellarsi alla sofferenza. 

 

Perché soffrire per chi ami che si è rivelato diverso da come ti aspettavi? Perché continuare ad essere fedele se puoi cambiare partner quando vuoi? Perché mettersi in gioco quando si può optare nel matrimonio per una semplice e pacifica convivenza?  

 

Nella vita di ogni famiglia ci sono i tempi di magra, sentiamo il terreno franare sotto i piedi, abbiamo accettato gli impegni e la fatica ma ci accorgiamo che non è servito a nulla, ci sentiamo inutili. Abbiamo fame, non di pane ma di qualcosa che venga a colmare quell’oscura sensazione di vuoto che ci fa star male. In questo momento, suadente e gentile, il diavolo bussa alla porta. Ma le tentazioni sono possibili nel regime della libertà, sono permesse da Dio per amore dell’uomo. La libertà è il limite che Dio si è dato, la porta dinanzi alla quale si ferma la sua onnipotenza. Il legame con Lui va costruito ogni giorno, aprendo la porta e dandogli la possibilità di entrare e di esercitare il dominio che gli appartiene nella nostra famiglia.

Il demonio inizia a parlare, quando la debolezza si fa sentire, lo tenta in tutto il periodo di permanenza nel deserto, ma c’è un momento in cui la tentazione si fa più forte e la voce del Nemico più pressante. Egli ci sfianca, ci sfinisce, ci logora interiormente, ci limita esteriormente attraverso situazioni contrastanti, consuma in noi il desiderio di reagire, esaurisce le nostre energie. Il demonio è perseverante nell’incalzarci, nel farci vacillare, dandoci il colpo finale per prostraci nella polvere e deriderci, dopo essersi manifestato nostro amico. Ma cosa vuole il demonio da Gesù, cosa cerca in noi il Nemico? La risposta è nel suo stesso nome: vuol dividerci da Dio, dalla realizzazione del suo progetto, dal vivere la nostra vocazione di sposi. Egli non sopporta che la pienezza divina trasbordi dalla vita e dal cuore dei figli della luce e cerca in ogni modo di intervenire per deviare dalla strada maestra quanti operano il bene. 

Nel matrimonio è bene prepararsi al combattimento. Come? Paolo scrivendo agli Efesini dice: “Rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. […] State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Ef 6,10-11.14-17).

Non siamo soli. C’è lo Spirito con noi. Dobbiamo entrare in intima familiarità con lo Spirito Santo perché è Lui che ci apre i segreti di Cristo e ci fa camminare spediti sulla strada di Dio. Ogni giorno, nelle nostre famiglie, dobbiamo insieme invocare lo Spirito, chiedere la sua Presenza, domandare la sua assistenza, offrire la nostra docilità alle sue ispirazioni. Gesù lo ha promesso: “Il Padre vostro darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (Lc 11,13). Dobbiamo allora pregare senza mai stancarci, ma alla preghiera dobbiamo aggiungere il desiderio di stare con Lui, la volontà di offrirgli del tempo per intessere quel dialogo che ci dona l’intima sua amicizia. 

I beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, sposi e testimoni della gioia del matrimonio, ci aiutano in questo cammino offrendoci tra parole che sono state alla base della loro regola di vita. Tre parole come le tre tentazioni e le tre risposte di Gesù al Tentatore: «Sia fatta la tua volontà», «Venga il tuo Regno» e «L’anima mia magnifica il Signore». Fiat, Adveniat e Magnificat. Fare della famiglia luogo di preghiera e di accoglienza. Trarre dalla famiglia la forza per essere e agire nel mondo, vivendo “una vita ordinaria in modo straordinario”. 

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