Quaresima in famiglia

La Quaresima a misura di figli…

(Foto: Matt Gibson / Shutterstock.com)

di Assunta Scialdone, teologa

Silenzio, preghiera, penitenza e carità: questa è la Quaresima. Come si può vivere tutto ciò all’interno di una famiglia?

«Supponiamo di trovarci in montagna e di tornare, dopo una passeggiata, al paese dove siamo alloggiati; a mezzogiorno arriviamo in cima a un colle, dalla cui sommità la nostra meta ci sembra, in linea d’aria, assai vicina, quasi sotto di noi: si direbbe a un tiro di schioppo. Ma, dato che non siamo rocciatori, non possiamo scendere direttamente e siamo costretti a compiere una lunga deviazione, di almeno cinque miglia. In alcuni momenti del nostro detour ci troveremo, chilometricamente, molto più lontani dal paese di quanto non lo fossimo stando seduti in cima al colle, ma, ripeto, soltanto in termini di misurazione statica; in termini di avanzamento reale, ci troveremo invece molto più vicini al bagno caldo e al tè che ci aspettano» (C.S. LEWIS, I quattro amori. Affetto, amicizia, eros, carità, Jaca Book, Milano 1960, 14). Questo esempio di Lewis ci introduce nel tema che vogliamo affrontare: il cammino quaresimale e la meta da raggiungere. Noi tutti sappiamo di essere stati creati ad immagine e somiglianza di Dio ma sempre Lewis ci propone una distinzione di immagine e somiglianza con Dio che a noi è utile per comprendere in che modo, pur non essendo dei “rocciatori”, possiamo raggiungere la meta: essere con Dio. Sussiste una differenza sostanziale tra la “somiglianza come vicinanza con Dio” e la “somiglianza come vicinanza per accostamento con Dio”.

La “somiglianza come vicinanza con Dio” non è altro che un grado di somiglianza con se stesso che Dio ha impresso in tutto ciò che ha creato, compreso l’uomo. L’uomo, a differenza dell’intero creato, possiede anche la somiglianza che si esplicita nel raziocinio. Le caratteristiche della somiglianza con Dio fanno in modo che la natura dell’intero creato, compreso l’uomo, sia più vicina alla natura divina. La “somiglianza come vicinanza per accostamento”, invece, consiste nel mettersi in cammino per avvicinarsi a Dio e giungere all’unione finale con Lui. La “somiglianza come vicinanza per accostamento” è un progressivo avvicinamento a Dio, mentre la semplice somiglianza (come vicinanza con Dio) ci viene data dall’alto e può essere accolta con o senza gratitudine, può essere messa a frutto o se ne può abusare. L’accostamento a Dio, invece, è qualcosa che, per quanto avviato e sostenuto dalla Grazia, spetta a noi portare a termine. L’accostamento a Dio va al di là della semplice somiglianza poiché si tratta di una forma d’unità di intenti con Dio. È per questo motivo che anche se dalla cima del colle eravamo effettivamente vicini al villaggio, restando seduti là, non avremmo mai visto avvicinarsi il nostro bagno caldo e il tè. Ecco la Quaresima: compiere dei passi, dare un’accelerata alla nostra vita per accostarsi sempre più a Dio. 

Il periodo quaresimale è, dunque, una sorta di “pellegrinaggio”, una “salita” che ci conduce ad una meta chiara: l’incontro con il Risorto. Senza avere una meta chiara il cammino risulta inutile e senza senso. Noi cristiani siamo invitati, in questo periodo, ad indossare i panni dello “scalatore” di fronte ad una parete rocciosa con numerose insidie. Egli ha bisogno di un bagaglio leggero per poter intraprendere la scalata e giungere alla meta. Deve portare con sé il bagaglio del saggio e cioè “poco o niente” perché non può appesantirsi. Nel bagaglio mette il silenzio e la preghiera, la penitenza e la carità: i mezzi che lo aiuteranno a raggiungere la meta. Come si può vivere tutto ciò all’interno di una famiglia? Come può la famiglia, risucchiata dal vortice degli impegni lavorativi e non, indossare i panni dello “scalatore” e praticare il silenzio, la preghiera, la penitenza e la carità? Di primo acchito sembrerebbero delle pratiche rivolte ai soli asceti e quindi impossibili per chi è immerso nel mondo, ancor di più per una famiglia. Invece, penso che non sia così.

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Iniziamo dal silenzio. Non ci viene chiesto di estraniarci dal resto del mondo e porre in stand by la nostra esistenza per quaranta giorni ma, come famiglia, ci viene chiesto di entrare nella camera segreta del nostro cuore dove già è presente il silenzio, dove già è presente Dio (Mt 6,6). In che modo? Ci sono due possibilità: la prima con una modalità più profonda che consiste nel ritagliarsi dei piccoli momenti personali, coniugali ed anche familiari un po’ più lunghi come la preghiera mattutina e/o serale. La seconda modalità consiste negli “slanci d’amore”, “nell’innalzare il cuore a Dio”, nell’entrare nella “stanza del silenzio” per poco tempo, rivolgendo dei pensieri d’amore e di preghiera a Dio, in occasioni particolari: nella pausa caffè, durante il viaggio da compiere in auto per raggiungere il posto di lavoro, mentre si svolgono attività manuali come cucinare o altro. Come famiglia, invece, siamo chiamati a cercare di parlare ai figli dell’esistenza di questa stanza. Come? Attraverso la contemplazione della bellezza del creato, di un’opera d’arte, di un brano musicale, di una storia letta con loro, di un film visto assieme o di un pezzo di letteratura studiato a scuola, si può cercare di introdurli nella loro stanza del silenzio dicendo che lì è presente Dio che li aspetta per parlare ai loro cuori, dicendo anche che tutto ciò che è bellezza viene da Dio e serve per attirarci in quella stanza segreta. Dovremmo fare, con i nostri figli, una vera e propria iniziazione al silenzio con grande semplicità e spontaneità.

Dal silenzio scaturisce il dialogo con Dio, quindi la preghiera che può essere fatta con formule di lode o, ancora meglio, attraverso il dialogo con Lui. Un dialogo intimo e dolce, a volte anche inquietante, quando Egli ci chiede di fare dei passi che vanno a scontrarsi con le barriere del nostro ego. Quando si prega assieme o si parla della preghiera in famiglia è importante tenere a mente che si prega perché siamo bisognosi di stare nella Luce per poter vivere una vita piena. Bisogna sempre spiegare il senso delle cose a noi stessi e ai figli, altrimenti rischiamo di cadere in pratiche devozionali, forse imposte, ma sterili. Per vita piena non s’intende una vita senza problemi, ma una vita quanto più aderente all’insegnamento del Vangelo e quindi vera, autentica, realizzata. È importante fare riferimento ad esempi di vita quotidiana e di cronaca e sfruttare tutte le occasioni che si presentano. Riporto, come esempio, un fatto di vita domestica avvenuto mentre riordinavo una stanza nel giorno delle Ceneri. La più piccola di casa inizia a gironzolarmi attorno: quando fa così c’è qualcosa che vuole dire, allora attendo in silenzio. Prende coraggio e pone il quesito: “Mamma, ma è vero che la penitenza salva le anime di chi rifiuta Dio?”. Le chiedo di spiegarsi meglio e farmi comprendere cosa intenda. Aggiunge: “Oggi è giornata di digiuno e quindi è una grande penitenza. Se io offro questa penitenza a Gesù, può salvare qualcuno? Se io decido di farne altre è possibile salvare tante persone?”. La piccola cerca di trovare un senso alla penitenza ricordando una storia che le narrai diversi anni addietro: quella dei tre pastorelli di Fatima che decisero, dopo aver visto l’inferno, di fare penitenza per la conversione dei peccatori. Approfittando del suo desiderio di comprendere, le racconto anche la storia della piccola Teresa di Lisieux e dei suoi fioretti. Vedo che i suoi occhi s’illuminano perché, a misura sua, tutto le è più chiaro. Alla fine mi dice: “Allora anche io posso aiutare Gesù, anche se sono piccola”. La bambina d’improvviso si percepisce essenziale per la costruzione del Regno di Dio, trovando un senso al sacrificio del digiuno. Le spiego che la penitenza serve anche a noi per diventare più belli e splendenti davanti a Dio. Mi chiede in che senso. Allora le parlo del desiderio di Teresa D’Avila di piacere a Gesù e di come, un suo amico, Giovanni della Croce, aveva pensato un percorso per essere belli e luminosi davanti a Dio. La bambina è curiosa di apprendere. Le spiego, attraverso un disegno, che l’uomo è composto di “corpo, anima e spirito”. Il corpo è come una casa che ha cinque finestre che si aprono sul mondo come quelle di casa nostra. Queste finestre sono i nostri cinque sensi. Quando veniamo a contatto con cose belle dobbiamo spalancare le nostre finestre. Quando, invece, veniamo a contatto con cose brutte, vanno sigillate, come fa lei quando incontra un cibo sgradevole o quando pone le mani davanti agli occhi per qualche scena in TV che la potrebbe spaventare. Le finestre vanno chiuse per preservare la nostra anima dove risiede la nostra intelligenza, i nostri sentimenti, la nostra volontà e la nostra personalità. Dobbiamo chiudere le finestre in modo che l’anima resti pura e nessun “animale brutto” possa entrarvi e fare sconquasso. Perché, nella parte più intima, c’è lo Spirito, cioè la stanza di Dio, dove Lui ci attende per stare con noi ed amarci. La bambina si sente soddisfatta e promette di impegnarsi a chiudere le finestre. Specialmente una, perché si rende conto che quella tal cosa non la fa sentire bene. Così facendo ho fatto anche un grande atto di carità verso di lei, facendole comprendere il senso del cammino verso la santità. Non so cosa resterà nel suo cuore, ma a noi genitori è dato il compito di seminare a piene mani esattamente quando i figli hanno il desiderio di conoscere. È questa la principale carità che i figli ci chiedono implicitamente. Lo scopriranno da adulti, quando, forse ci vedranno indeboliti dall’età oppure, quando, inavvertitamente, risentiranno la nostra voce anche in nostra assenza, quando saremo lontani e si troveranno a compiere la loro scalata senza di noi. Ripenseranno a noi come l’origine di quella scalata: hanno mosso i primi passi di quell’affascinante avventura che è il cammino di santità grazie ai loro genitori, a noi. Non è cosa di poco conto. Anche a questo può servire la Quaresima in famiglia.




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