Coronavirus

Tra la paura e l’onnipotenza guarda a Cristo, ti conviene

di don Gianluca Coppola

Sono giorni di paura. Non importa se essa sia giustificata o infondata, la paura è un istinto bugiardo: fidarsi senza addomesticarla è una trappola.

La paura mette a nudo. Quando arriva, infatti, ci racconta chi siamo. Un codardo; un vigliacco; un superficiale; un superstizioso; un depresso o un uomo di poca fede?

La paura mette in crisi e ci rivela a chi crediamo, di chi ci fidiamo.

Guardo a quella parte di mondo che odia il cristianesimo per costituzione. I cui governi sono ispirati all’ateismo, come la Cina. Dove Dio è vietato, il concetto di persona non esiste e il creato è considerato proprietà privata del signore di turno. Poi guardo a questo momento di crisi e mi accorgo che è proprio vero che la paura sbugiarda il cuore dell’uomo.

Il panico rivela la fragilità personale diffusa, tipica di chi ha false sicurezze in cui cullarsi. Arriva l’ignoto, come sempre all’improvviso, e tutto crolla. I principi vengono messi in discussione, ignorati e Cristo diventa qualcuno con cui prendersela o di cui fare a meno.

Siamo convinti di poter controllare tutto, di essere padroni del tempo, dello spazio, della nostra vita, un delirio accentuato dalle possibilità della tecnoscienza, poi, dal nulla, spunta un invisibile virus e siamo nudi nella nostra miseria e insignificanza. Eppure, in pochi anche a questo punto, si ricordano di essere nelle mani di Dio e di sorridere.

Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore“, Geremia 17. Continuano a riecheggiarmi, proprio in queste ore, parole di una forza e durezza incredibili. E allora penso che solo di una cosa non possiamo fare a meno, dell’Eucaristia!

E mi viene in mente una storia vera. Nel 304 l’imperatore Diocleziano proibì ai cristiani, sotto pena di morte, di riunirsi la domenica per celebrare l’Eucaristia e di costruire luoghi per farlo. Ad Abitene, una piccola località nell’attuale Tunisia, 49 cristiani pensarono che Cristo venisse prima della paura e si riunirono lo stesso per celebrare la Messa. Furono sorpresi e arrestati. Quando il Proconsole chiese a uno di loro perché mai avessero trasgredito l’ordine severo dell’imperatore. Egli rispose: “Sine dominico non possumus”, cioè senza riunirci in assemblea la domenica per celebrare l’Eucaristia non possiamo vivere. “Ci mancherebbero le forze per affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere”. Dopo atroci torture, questi 49 martiri di Abitene furono uccisi, ma vinsero: e oggi li ricordiamo nella gloria del Cristo risorto, nella Gerusalemme celeste.

Neanche oggi è facile vivere da cattolici in questo mondo. Dopo poco meno di 2000 anni saranno cambiate le leggi, ma gli attacchi all’interiorità sono uguali. Siamo immersi in una realtà che mina la nostra dimensione spirituale. Così ossessionati dalla salute del corpo da pensare che quella dell’anima valga di meno. Non abbiamo fede in Dio e così non guardiamo correttamente neanche alla nostra umanità. Abbiamo l’incubo dei germi patogeni, ma ci lasciamo inquinare da virus ideologici, che fanno ammalare mortalmente, la nostra anima. La cui salute è molto più importante perché l’anima è immortale e ha un eterno destino.

Così segnati dal materialismo, dall’indifferenza religiosa, a volte assomigliamo a quei paesi che non conoscono la trascendenza. E allora tutto sembra un deserto grande e spaventoso.

Penso ai martiri di Abitene e penso che l’unico pane per cui vale la pena battersi e avere paura è Cristo stesso. Seguire la Parola di Dio, mangiare – in stato di Grazia! – Cristo significa per l’uomo realizzare se stesso; smarrirlo equivale a smarrire se stessi.

Ecco che tra la paura e il delirio di onnipotenza passa Cristo, l’unico che può mettere in ordine. E pace.

Liberandoci da una visione materialista, e solo guardando a Dio, scopriremo il rispetto per l’uomo, la Verità, la salvezza, i diritti umani, una visione sana della nostra esistenza.

Nell’Eucaristia Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. È una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi. Cristo ci attira a sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. Cosa aspettiamo a correrGli incontro? Perché non ci preoccupiamo di conoscerlo quanto meglio?

Che la paura ci insegni a dipendere solo da Lui. Perché dall’Eucaristia sappiamo trarre lo slancio necessario per un nuovo impegno nell’annuncio al mondo di Cristo.




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