
È tuo fratello!
di don Silvio Longobardi – s.longobardi@puntofamiglia.net
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-3.11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Il commento
“Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo” (15,28). La prima parte della parabola attira maggiormente l’attenzione, la vicenda del figlio che se va e poi ritorna rispecchia la nostra vita. È interessante però soffermarsi anche sulla seconda parte, non meno attuale (15, 25-32). Potrebbe apparire come un’aggiunta posteriore o un’appendice, in realtà, è il prolungamento della prima parte. E difatti la conclusione richiama e ribadisce con le medesime parole l’annuncio della misericordia che sigilla la prima parte del racconto (15,24): “questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (15,32). L’evangelista si sofferma sulla fiera protesta del figlio maggiore: il suo malcontento non è un capriccio, anzi, stando alla normativa del tempo, appare giusto e doveroso dal punto di vista giuridico. Ma il padre non gioca la sua partita su questo terreno assai scivoloso, ideale per gli scontri fraterni. Egli cerca piuttosto di portare il figlio sul terreno della condivisione, risponde così alle sue rimostranze: “Tutto ciò che è mio, è tuo” (15,31). Come se dicesse: se c’è piena condivisione, non hai nulla da chiedere; e d’altra parte, non puoi accusarmi di usare i beni della famiglia per accogliere questo figlio perché è “tuo fratello” (15,32). Insomma, con la stessa misericordia che ha usato verso il figlio ribelle, ora cerca di mitigare il figlio fedele. Non lo accusa di trattare come un estraneo il fratello – “questo tuo figlio” (15,30) – ma ricorda che il legame di fraternità non può essere stracciato, non diventa mai logoro, anzi può e deve sempre essere sempre coltivato con amore. Non è possibile chiudere il cuore ad un fratello che ritorna.
La seconda parte non presenta un’esplicita conclusione. L’evangelista non dice se il figlio accoglie l’invito alla misericordia, lascia volutamente il brano sospeso, come se volesse far risuonare questo appello continuamente, per ogni uomo, in ogni tempo. Non è facile entrare nella logica della misericordia, dobbiamo saper ricominciare in ogni momento, lasciandoci illuminare da quella carità che supera ogni giustizia.
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