Il popolo della vita

Eppure basterebbe osservare un’ecografia…, 25 anni dall’Evangelium Vitae

ecografia

di don Silvio Longobardi

Venticinque anni fa, Giovanni Paolo II pubblicava in questo giorno, il 25 marzo 1995, l’enciclica “Evangelium Vitae”. Perché? “Per due motivi: da una parte per contrastare la cultura abortista che poteva contare su tutti i mezzi di informazione e faceva proseliti anche all’interno della comunità ecclesiale; e dall’altra per sollecitare i battezzati ad impegnare maggior energie intensificando sia l’impegno culturale che quello solidale”.

Ricorrono alle parole più raffinate pur di negare che si tratti di una persona provvista di una sua intangibile dignità. A metà degli anni ’90 Massimo D’Alema, allora segretario PDS (cioè il nonno dell’attuale PD) dichiarava che “non tocca ai partiti politici stabilire quando comincia la vita, spetta alla coscienza individuale”. Quando siamo alle strette e non sappiamo cosa dire, o meglio non vogliamo dire quello che sappiamo, s’innalza il totem della coscienza. E la scienza? Quella scienza che viene sempre invocata come un arbitro che offre giudizi imparziali? In questo caso, non c’è spazio per la scienza. 

E difatti, in questo specifico ambito della vita, la parola è affidata più ai filosofi e scrittori che ai medici. Sulle pagine del Corriere, siamo sempre nell’ultimo decennio del Novecento, Saverio Vertone denuncia quella cultura che non sa distinguere “tra il feto e la madre”. Per lui le vite umane non ancora nate possono essere considerate “vite possibili”. Lidia Campagnano, giornalista e scrittrice, afferma che la gravidanza è “la trasformazione di un embrione in una relazione umana”. inutile dire che spetta alla madre decidere se far diventare quella materia vivente un individuo separato da sé. 

In quegli stessi anni, con quella straordinaria determinazione che gli era abituale, Giovanni Paolo II scelse di pubblicare l’enciclica Evangelium Vitae (1995), interamente dedicata alla questione della vita nel suo sorgere e nel suo tramonto. In un suo recente libro, Un’altra libertà. Contro i profeti del paradiso in terra, il cardinale Camillo Ruini, che è stato uno dei principali collaboratori di Papa Wojtyla, ha scritto che l’enciclica rappresenta “un atto del più alto valore dottrinale, massimamente impegnativo per i credenti”. A suo giudizio in questo documento, più che negli altri, il Pontefice impegna la sua autorità magisteriale. Il porporato emiliano ha certamente ragione, basta citare questo passaggio del documento: “Pertanto, con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i vescovi della Chiesa cattolica – scrive Giovanni Paolo II –, confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale” (n. 57). Perfettamente in linea con tutta la tradizione, Giovanni Paolo II ha inteso confermare nella forma più autorevole l’insegnamento della Chiesa sulla vita nascente. 

In apparenza nelle sue parole non troviamo alcuna novità. Alcuni anni prima, proprio quando in Italia iniziava l’iter legislativo che avrebbe trovato il suo triste epilogo con la legalizzazione dell’aborto (18 maggio 1978), Paolo VI aveva affermato con decisione su questo punto l’insegnamento della Chiesa “non è mutato ed è immutabile” (Allocuzione, 9 dicembre 1972). 

Se tutto era così chiaro perché allora pubblicare un altro documento, scegliendo peraltro l’enciclica che rappresenta la forma più autorevole del magistero? L’intervento era del tutto necessario, anzi assolutamente indispensabile: da una parte per contrastare la cultura abortista che poteva contare su tutti i mezzi di informazione e faceva proseliti anche all’interno della comunità ecclesiale; e dall’altra per sollecitare i battezzati ad impegnare maggior energie intensificando sia l’impegno culturale che quello solidale. 

Malgrado i pronunciamenti dottrinali, la comunità ecclesiale s’era trovata spiazzata dinanzi ad un problema che veniva posto in modo nuovo. Non sapeva se e come intervenire, non sapeva come fermare o almeno tentare di frenare la cultura e la prassi abortista. Non bastava certo una generica condanna morale che risuonava solo negli ambiti ecclesiali. E anche qui, spiace dirlo, non sempre con la chiarezza necessaria. Un sondaggio svolto in quegli anni nella diocesi di Milano rivelava che solo il 20% dei cattolici ritiene che l’aborto sia sempre sbagliato; un buon 34% considera ormai superato l’insegnamento tradizionale sull’aborto. Sono dati riportati dal quotidiano Avvenire (9 aprile 1995). Insomma, non era facile individuare i modi e le forme per attuare un’efficace presenza in questi ambiti. In casa cattolica non tutti lo includevano nelle opere di solidarietà. 

In questo contesto, sociale ed ecclesiale, l’enciclica Evangelium Vitae era più che necessaria. Con questo documento Giovanni Paolo II ha suscitato una nuova e più profonda attenzione per la vita nascente, ha riproposto un problema sociale che ordinariamente rimane nascosto, ha ricordato il valore e la dignità della vita umana a cominciare dal concepimento e ha chiesto a tutti, cattolici e non, di impegnarsi per difendere la vita dalle sue molteplici minacce. 

Il Papa non si ferma alle considerazioni di natura dottrinale. Nella quarta parte dell’enciclica – che s’intitola “L’avete fatto a me” (nn. 78-101) – offre indicazioni e orientamenti per promuovere e diffondere una nuova cultura della vita umana attraverso le opere e le parole. Con un’espressione davvero suggestiva ricorda ai cristiani di essere e di presentarci come “il popolo della vita e per la vita” (n. 78), il popolo che annuncia, celebra e serve il Vangelo della vita. È una responsabilità di tutti e di ciascuno. Impossibile richiamare i diversi capitoli di questo documento che, a distanza di 25 anni, non ha perso la sua straordinaria attualità. Rileggerlo e commentarlo dovrebbe essere un dovere di tutti. 

Negli anni ’90 si cercava ancora di dare una giustificazione culturale all’aborto, ricorrendo spesso a sofismi filosofici che avevano una parvenza di razionalità. Tutto questo oggi appare superato da una cultura che ha rotto gli argini e presenta l’aborto come un diritto della donna, come se il bambino non esistesse. Contro ogni logica. Contro il più banale dato scientifico. E pur si muove, avrebbe detto Galileo ai cardinali che lo interrogavano. Si riferiva alla terra che, malgrado le apparenze, si muove attorno al sole. Sono le stesse parole che possiamo dire a proposito del bambino che attende con impazienza di venire alla luce. Lui neppure immagina che qualcuno possa considerarlo un peso, un estraneo, un fastidio. Addirittura, un nemico da sopprimere. Non riusciamo a immaginarlo neppure noi. Per questo continuiamo a combattere la battaglia per la vita, convinti che la verità non può essere soppressa da una legge.




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