Scuola

Nella Scuola ai tempi del coronavirus “l’aula non c’è… l’aula virtuale è a casa mia”

studiare

di Elisabetta Cafaro, insegnante

Nei giorni segnati dalla chiusura di scuole e università per l'emergenza coronavirus, lavoriamo a colpi di software, PowerPoint e slides. Tutto passa attraverso il mondo digitale e sebbene possiamo restare in contatto con i nostri studenti, manca una dimensione sostanziale: l’incontro.

I miei alunni, mi hanno inviato un video, che riprende le note di una celebre canzone ed esprime bene il momento scolastico che stiamo vivendo: “L’aula non c’è, è andata via…l’aula virtuale è a casa mia… meglio dal vivo il chiasso in 3A…”.

Proprio così “l’aula non c’è…” e noi docenti stiamo sperimentando la didattica a distanza. Una realtà nuova. Nei giorni segnati dalla chiusura di scuole e università per l’emergenza coronavirus, desktop e schermi di cellulari, sono diventati la nostra nuova “aula scolastica”. Lavoriamo a colpi di software, PowerPoint e slides, tutto passa attraverso il mondo digitale e sebbene possiamo restare in contatto con i nostri studenti, manca una dimensione sostanziale della Scuola: l’incontro, l’empatia, il chiasso che spesso diventa dialogo. Manca il confronto tra mondi diversi, tra cuori diversi.

La didattica a distanza è un “salvagente” a cui ci stiamo aggrappando perché il vero nucleo della scuola è l’empatia, ovvero la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona. Mai come in questi giorni di distanziamento sociale mi sono accorta che l’insegnamento non è solo una questione di nozioni, di compiti o di interrogazioni, è soprattutto una questione di motivazioni, di slancio, di passione in altre parole di incontro.

In questi giorni anche io ho dovuto lavorare con la didattica a distanza, riprendendo con i giovani la figura di Gesù, visto che siamo in prossimità della Pasqua. E ho sfruttato questa possibilità per infondere coraggio ai miei ragazzi anche se siamo in un’aula virtuale. Ho posto loro questa domanda: “Immaginate di fare un’intervista a Gesù di Nazaret. Che cosa vorreste sapere di lui?”. Tra le tante risposte quella di Benedetta, una mia alunna di 15 anni, mi ha colpito. “Gesù… ora più che mai mi piacerebbe incontrarlo, perché dentro di me sento uno strano senso di vuoto. Un vuoto che prima non sentivo. Un vuoto perché sembra che lui non è più affianco a me e a tutte le altre persone a proteggerci. E così è arrivato di colpo questo male, che nessuno riesce a controllare. Cosa abbiamo sbagliato? Perché se Dio ci ama incondizionatamente, sta succedendo tutto questo? Io confido in Gesù, continuando a pregare e sperando che tutto questo incubo termini al più presto”.

Cara Benedetta e cari ragazzi, talvolta attraverso il male impariamo a conoscere il bene. Senza questo forzato isolamento avreste mai apprezzato il valore di un’aula? Il rumore dei compagni, il suono stridulo della campanella, la paura di essere interrogati o la tensione che precede un compito in classe? Tutte manifestazioni di una umanità a cui non davamo più peso e che oggi siamo chiamati a rivalutare. Non abbiate paura! Insieme a Gesù e con l’aiuto di Dio ci rialzeremo e torneremo in classe ma con una consapevolezza maggiore di ciò che siamo e di ciò che abbiamo. 




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