
Appello alla coscienza
di don Silvio Longobardi – s.longobardi@puntofamiglia.net
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,1-11)
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Il commento
“Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?” (8, 5). Il comprensibile desiderio di essere fedeli alla Legge mosaica è condito con un intollerabile disprezzo nei confronti di quella povera donna. La scena descritta dall’evangelista è agghiacciante. Non ci sono i dettagli ma possiamo immaginare: la donna è stata gettata in mezzo alla folla come se fosse un oggetto immondo, trascinata con violenza, presenta ferite sul corpo, le vesti sono strappate. E poi… un’indescrivibile paura negli occhi, resa più grave dalla certezza che la sua vita è ormai segnata. I suoi accusatori non hanno dubbi, ai loro occhi la donna ha perso ogni dignità, non ha più diritto a vivere. Gesù viene esplicitamente interpellato ma egli sembra sottrarsi al confronto: “Si chinò e si mise a scrivere col dito per terra” (8,6). Vorrei accostarmi a Lui mentre se ne sta in silenzio, in mezzo a quella calca assordante. Vorrei cogliere il fremito della sua umanità, so bene che non sopporta gli ipocriti e forse avrebbe voglia di gridare: “Se è stata sorpresa in adulterio, dov’è l’adultero?”. Potrebbe anche ricordare la parola del profeta Ezechiele: “Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?” (Ez 18,23). Il Nazareno sa bene che una reazione istintiva potrebbe solo esacerbare gli animi della folla. Lui non ha il potere di fermare le pietre, può solo appellarsi alla coscienza: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (8,7). Dio non può limitare la libertà dell’uomo, può solo donare una parola che rischiara il cuore e plasma le scelte.
Con la stessa misericordiosa fermezza del suo Signore, la Chiesa deve ripetere – oggi e sempre – che le nostre mani non devono raccogliere pietre ma dare carezze. È facile giudicare gli altri. È un esercizio che abbiamo imparato fin da piccoli. Gesù c’insegna a pesare la vita e le persone a partire dalla propria fragilità: la coscienza dei nostro limiti è una buona premessa per accogliere e perdonare gli errori degli altri. È questa la grazia che oggi chiediamo.
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