
L’ingiustizia dei potenti
di don Silvio Longobardi – s.longobardi@puntofamiglia.net
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 11,45-56)
In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».
Il commento
“Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!” (11,50). Queste parole sono l’espressione odiosa del cinismo dei potenti e piuttosto vengono ripetute mille e mille volte nel corso della storia. Caifa non si preoccupava affatto del popolo ma dei suoi privilegi. Eventuali disordini gli avrebbero fatto perdere l’amicizia con i romani che gli garantiva potere e ricchezza. Anche se l’orizzonte immediato delle parole di Caifa appare legato ai suoi miserabili interessi, l’evangelista riconosce alle sue parole un valore profetico, anzi allarga ulteriormente la prospettiva: “non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (11,52). Egli afferma così che la nascita del nuovo popolo di Dio passa attraverso la morte di Gesù. Tutto questo, è bene ricordarlo, scaturisce unicamente dall’ingiustizia degli uomini. Dinanzi al rifiuto, l’amore fedele di Dio si manifesta attraverso la croce. Ci sono quelli che a parole denunciano l’ingiustizia e poi fanno accordi sottobanco. Gesù invece dona la vita.
I potenti di questo mondo sono discepoli di Caifa, non usano il potere per promuovere il bene comune ma l’interesse di pochi. Noi invece siamo discepoli del Crocifisso: non diamo la morte ma c’impegniamo a donare vita. Nei giorni santi che ci preparano alla Pasqua, questa scelta si traduce in una verifica onesta: l’orizzonte della nostra vita è davvero segnato dal bene comune oppure prevale sempre e soltanto il benessere individuale? È facile rispondere in modo affermativo. E probabilmente lo diciamo con sincerità. Ma nelle situazioni concrete non vogliamo perdere nulla, difendiamo a denti stretti quel benessere conquistato a fatica, siamo più preoccupati di salvare noi stessi che dare agli altri l’occasione di benedire Dio. Anche i peccati di omissione fanno parte di quel tradimento che ogni giorno consumiamo. Oggi chiediamo la grazia di rinunciare a qualcosa per il bene degli altri. È l’unico modo per trovarci più vicini al Maestro che cammina sulla via della croce.
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