Settimana Santa

Nonostante la pandemia, questo può essere davvero il Triduo della rinascita…

alba

di Ida Giangrande

“Voglio trovare un senso a questa storia” cantava Vasco Rossi in una delle sue celebri canzoni, “anche se questa storia un senso non ce l’ha”. Ma siamo proprio sicuri che tutto questo dolore non abbia senso?

In queste ultime settimane, gioco o forza, ci siamo dovuti abituare a raccontare quello che mai avremmo voluto dire né vedere. Le strade vuote, il dolore di chi muore lontano dai propri cari, la paura di un nemico invisibile che in poco tempo sembra essersi appropriato delle nostre città, strappandoci la libertà di incontrarci, di abbracciarci, di baciarci e facendo delle nostre case tante piccole prigioni senza sbarre, dove rinchiudersi per sottrarsi al pericolo. 

Confesso che talvolta una parte di me continua a dirsi che si tratta di un incubo e che tra poco tutto finirà, ma intanto il giorno spunta con la luce e il sole e mi accorgo che invece è tutto vero e il mio incubo è ancora lì. È vero che non posso prendere Gesù Eucarestia nemmeno ora che siamo nella Settimana Santa, in quella che rivive il suo dolore, l’ora più buia della sua Passione. 

Tra poche ore ripercorreremo le tappe del suo supplizio, quello che ha accolto in nome della nostra salvezza e non senza dolore. Dopo la Celebrazione dell’ultima cena del Signore il giovedì santo, mi ritiravo sempre per un’ora di adorazione insieme a mio marito e alle mie figlie nella chiesa del Paese. Il tabernacolo viene di solito circondato da vasetti di grano in fiore, le persone arrivano silenziose e impercettibili, si inginocchiano distanti l’uno dall’altro, non per paura di un virus ma per il bisogno di restare soli con Gesù in quel momento in cui l’umanità intera geme e lotta sospesa tra la vita eterna o la morte eterna. Poi arriva il venerdì e il sabato, giorni di digiuno e di preghiera, giorni di lutto e di silenzio. Ho sempre avuto paura del sabato perché, consumate le ultime particole consacrate, i tabernacoli restano vuoti, prima della nuova consacrazione nella grande veglia notturna. In quelle poche ore la terra è sola, la presenza mistica di Gesù che come un faro nella notte attira le nostre vite anche quando siamo distanti, non c’è più. Il paradiso è di nuovo lontano e ogni anno ne sento il peso, in quelle ore che precedono l’alba della sua Resurrezione mi sento sola, spaventata, sento di essere alla mercé del nemico senza il mio Signore a proteggermi. Avverto la disperazione di Maria di Magdala quando, come racconta il Vangelo di Giovanni, di buon mattino si reca al sepolcro e non trovando il corpo del Signore corre a chiedere aiuto a Pietro. 

Leggi anche: Se Dio scompare, l’uomo si dissolveSe Dio scompare, l’uomo si dissolve

Poi arriva la Pasqua, le campane annunciano l’alba di una nuova domenica destinata a non tramontare mai e il mio cuore torna a riposare sereno: il Signore è tornato e con lui anche quella beata normalità in cui mi ritrovo. La festosa Celebrazione e poi lo scoppio di abbracci e auguri con i fratelli nella fede, i parenti, gli amici: quest’anno non ci sarà nulla di tutto questo. Anche la Pasqua ha assunto un volto diverso e la Resurrezione sembra ancora lontana, ma forse proprio grazie a questa crisi improvvisa questo può essere davvero il Triduo della rinascita. Avevamo fatto della nostra umanità una certezza su cui contare e ora invece, siamo consapevoli della nostra vulnerabilità. “Ci sentivamo sani in un mondo malato” ha detto il Santo Padre nella catechesi della benedizione Urbi ed Orbi del 27 marzo, e ora invece sappiamo di non avere il controllo sulla vita, abbiamo imparato che siamo solo creature non creatori e che di fronte ad una calamità come questa nemmeno la scienza, a cui spesso abbiamo dato il potere di stabilire la vita o la morte, può far nulla. L’abbiamo vista soccombere, abbiamo dovuto contare i nostri medici caduti come soldati sul campo di battaglia e ora si scorrono nomi, volti e storie nel racconto di un’altra pagina di storia da non dimenticare.

“Voglio trovare un senso a questa storia” cantava Vasco Rossi in una delle sue celebri canzoni, “anche se questa storia un senso non ce l’ha”. Io non la penso così, anzi credo che un senso alla pandemia dipenda in gran parte da noi. Pasqua vuol dire “passaggio” e mi auguro sul serio che questa sia la Pasqua della riconciliazione, del passaggio dell’uomo dall’assolutizzazione di sé al riconoscimento della sovranità di Dio. Se alla fine di questa battaglia avremo ritrovato le radici della civiltà dell’amore, forse “questa storia” (a dirla come Vasco) avrà assunto un senso con tutto il suo dolore e ci avrà restituito il valore dell’eternità, della fede e dell’amore.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.