Venerdì Santo

 di Assunta Scialdone, Teologa

Dal costato squarciato di Cristo sulla croce, il mondo è invaso dal profumo di Dio…

10 Aprile 2020

Crocifisso

In questo Venerdì Santo di fronte alla croce una domanda sorge spontanea: che cosa farò io per Gesù? Avrò mai l’audacia di annunciare il suo amore per noi?

La Settimana Santa è stata introdotta liturgicamente dalla lettura del brano del Convito di Gesù a Betania, riportato sia da Marco 14, 3-9 che da Giovanni 12,1-11. Da essi sappiamo che Gesù, prima di affrontare la sua Passione, si ritira nella casa dei suoi amici, nell’intimità domestica. Anche il Maestro avverte la necessità di assaporare quel pane dolce della vita che è l’amicizia, vivendo pienamente Betania e cercando ristoro con le persone che ama. Questo ristoro è interrotto da un fuori programma che diventa quasi un annuncio. Una donna, così è riportato nel Vangelo di Marco, entra portando con sé un vaso di alabastro contenente olio profumato di autentico nardo, di grande valore economico. Marco ci presenta una scena bellissima, impastata d’amore e passione. La donna, come la Sposa del Cantico, ama sinceramente il Maestro come si capisce dal fatto che non bada al risparmio. Ella offre quanto di più prezioso abbia, senza aspettarsi nulla in cambio. Chissà quante rinunce ha sopportato per poter comprare quel vaso di alabastro contenente un olio così prezioso. Eppure, ella lo offre senza se e senza ma, senza alcun calcolo. Gesù non disdegna i gesti di questa donna e tanto meno il profumo che si spande nella casa, anzi ne resta profondamente colpito perché percepisce dal vivo un amore sincero. Altri, invece, si sdegnano perché hanno occhi inquinati da pregiudizi e non riescono a vedere la bellezza e la purezza di quel gesto. Gesù accoglie con gioia quel gesto pieno d’amore. Il Maestro nel difenderla, afferma: «Ella ha fatto ciò che poteva; ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura». E così ci proietta immediatamente all’interno della sua passione che di lì a poco sarebbe iniziata. 

Il nardo, infatti, è un olio prezioso utilizzato per ungere il corpo dei defunti come gesto d’amore dei vivi. Siamo autorizzati a ritenere che questo gesto gratuito sia una carezza d’amore che la donna dona al Maestro perché Egli ne verrà privato al momento della sua morte. Gesù, infatti, non avrà questo trattamento in quanto il suo corpo velocemente sarà schiodato dalla croce e posto in un sepolcro vuoto prima dell’inizio della Pasqua ebraica. Sarà posto nel sepolcro senza che la Madre e le donne potranno lavare ed amare quel corpo ungendolo di nardo e lacrime. È impossibile tacere l’analogia anche con ciò che avviene in questi giorni di pandemia, quando i tanti cadaveri causati dal virus vengono velocemente deposti in una tomba frettolosa per paura del contagio senza che i familiari possano amare e accarezzare un’ultima volta i propri cari. Sembrerebbe che il Maestro, anticipando quello che l’umanità sta vivendo, abbia voluto prendere su di sé anche questa attuale sofferenza. Ritornando a Betania, la donna, come ci narra l’evangelista Marco, prima di ungere i piedi di Gesù, rompe il vaso di alabastro e versa l’olio. Il gesto di rompere il vaso si pone come una prefigurazione della morte di Cristo. I credenti sanno che nella persona di Gesù sussistono due nature: quella umana e quella divina. È ciò che si professa nel credo dichiarandolo vero Dio e vero uomo. 

In questa rottura del vaso ci sembra di poter scorgere ciò che avrebbe subìto il corpo di Cristo durante la sua passione fino all’apertura del Suo costato per donare ad ognuno di noi il Suo Spirito. È come se il vaso di alabastro rappresenti la natura umana e il nardo, in esso custodito, la natura divina. Dal costato squarciato di Cristo sulla croce il mondo è invaso dal profumo di Dio. Questa donna non fa calcoli, ama e offre tutto ciò che possiede, compiendo una follia d’amore per Cristo. Anche Cristo compirà di lì a poco una follia per tutta l’umanità, senza badare al risparmio. La donna lotta contro la sua umanità e i pregiudizi dei presenti nella casa di Betania, scavando e trovando in sé la forza. Gesù, in una dimensione molto più grande, lotta nel Getsemani contro la sua umanità impastata di paura. Assistiamo così ad un fatto che si presenta inaspettatamente ai discepoli. A noi non crea lo stesso effetto di stupore perché esso è attenuato da duemila anni di tradizione, ma per gli apostoli non dovette essere così. Il Maestro che parla con autorità ed autorevolezza, che non si lascia trascinare nelle trappole dei Farisei, che tiene sempre sotto controllo le situazioni ed ha sempre una Parola ferma per tutti, nel Getsemani in questo frangente è smarrito, impaurito tanto che Egli chiede una cosa ai suoi: «Vegliate con me». In quella richiesta si tocca l’uomo Gesù che di fronte alla morte ha paura: proprio come noi. Vediamo l’uomo che di fronte alla morte non vuole restare solo, ma essere circondato dall’affetto dei suoi. Anche di questo verrà privato. Possiamo solo immaginare il volto stupito degli apostoli che, di fronte allo smarrimento di Cristo, continuano a non comprendere forse con maggiore sgomento. Al tal punto non comprendono che non pongono attenzione alla richiesta di Gesù e si addormentano. Gesù è solo come ogni uomo di fronte alla propria croce. Egli entra in quella notte oscura nella quale non viene percepita neanche la presenza del Padre. È così grande la sofferenza sperimentata che Egli suda sangue. 

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L’uomo Gesù è tentato fortemente ad abbandonare la sua missione, egli ode solo la voce della paura e non quella del Padre che si compiace con Lui come altre volte aveva fatto quando lo aveva accreditato dicendo: «Questi è il figlio mio prediletto, ascoltatelo». Scavando dentro di sé Egli decide di percorrere la via dell’amore totale, ciò per cui è venuto nel mondo, pronunciando nuovamente il suo sì: «Non la mia, ma la Tua volontà sia fatta». Egli riconferma quel “sì” dell’incarnazione pronunciato nella lettera agli Ebrei 10, 5-7: «Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà». Da questo momento Gesù diventa amore di donazione totale insegnando che “forte più della morte” è il suo amore per l’uomo, che a tale amore bisogna tendere per renderlo presente nella nostra quotidianità. Nel vero amore si gioca a perdere piuttosto che a vincere: ecco cosa insegna Gesù e cosa è prefigurato nella rottura del vaso contenete nardo. Egli che è la bellezza infinita, l’uomo più affascinante e carismatico che possa essere esistito, diventa un grumo di sangue, un volto deturpato dalla violenza per trasformare la bruttezza umana in bellezza. Ora è più chiaro ciò che l’apostolo Paolo scrive in Filippesi 2, 5-8: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce». 

Nell’amore vero non si può giocare al risparmio, ma bisogna perdere se stesso per il bene dell’altro, proprio come la donna di Betania. L’offerta totale di Cristo sulla croce è offerta d’amore sponsale, nuziale, oltre che offerta sacrificale. Essa pone la propria morte come dono di nozze alla sua Sposa/Chiesa, per essere una sola carne con lei. Cristo in questa Settimana Santa si “svenerà” di sangue per ognuno. Ci indica il massimo grado dell’amore. Si offre totalmente perdendo tutto di sé. Sant’Efrem Siro, riflettendo su tale mistero, afferma: «Beata sei, Chiesa, un re ti chiede in moglie, con le sue sofferenze ti rende gloriosa. Fluisce la tua salvezza nell’istante in cui egli muore dissanguato: è stata la croce il suo talamo nuziale. Il giorno della sua morte amara ti genera a una vita dolce, ti rapisce, beata moglie, al trono del suo regno celeste» (S. EFREM in, Inno sulla Chiesa e la verginità). In questo Venerdì Santo, dalla contemplazione della solitudine di Cristo e poi del talamo nuziale, la croce, del profumo di “Nardo” che scaturisce dal suo costato squarciato, sorge una domanda che è anche proposito di vita: che cosa farò – io e non gli altri- per Gesù? Chi avrà l’audacia di annunciare a tutti questo suo amore? Si potrà non annunciarlo? Si potrà, dopo aver contemplato questo Amore, voltare pagina e continuare a vivere senza alcuno slancio passionale verso lo Sposo Gesù? Il Salmo 26 ci ricorda come: «Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto». Come non intravedere, anche qui, l’audacia e la perseveranza della ricerca affannata dello Sposo da parte della Sposa del Cantico? Potrà la Chiesa essere meno audace della Sposa del Cantico? Potrà la Sposa restare indifferente ad una tale proposta d’amore? Tanto più che questa sposa ha visto il suo sposo risorgere, cosa che non è concesso, al momento dei fatti, alla donna del nardo e alla sposa del Cantico.




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