CORRISPONDENZA FAMILIARE

Chi decide cos’è un bene di prima necessità?

20 Aprile 2020

pregare

Un animale ha diritto ad avere il suo nutrimento. Un uomo può acquistare gli alimenti. Un fumatore può comprare le sigarette. Un lettore può recarsi all’edicola o in libreria… Un cristiano invece non può andare in chiesa. Qui è in gioco la fede della Chiesa. La fede nella sua essenzialità.

Provate a immaginare se, all’uscita di un supermercato, il poliziotto venisse a frugare nel carrello della spesa per verificare se abbiamo comprato solo i beni di prima necessità. La ribellione sarebbe assicurata e forse anche la denuncia per violazione della privacy. In effetti, chi può decidere cosa è necessario e cosa non lo è. Vi sono quelli che non possono rinunciare ad un buon bicchiere di vino e altre che non possono a fare a meno delle patatine. Se questo criterio vale per gli alimenti che rallegrano la mensa domestica perché mai l’autorità pubblica pretende di entrare nella coscienza dei cittadini per imporre dall’alto una classifica dei beni, ritenendo che alcuni sono indispensabili e altri non lo sono affatto?

Un animale ha diritto ad avere il suo nutrimento. Un uomo può acquistare gli alimenti. Un fumatore può comprare le sigarette. Un lettore può recarsi all’edicola o in libreria… Un cristiano invece non può andare in chiesa, a meno che non sia sotto casa, né può ricevere il Pane eucaristico o confessarsi, se ritiene che questo sia per lui un bene indispensabile. In questo caso, con un atto di intollerabile imperio, il Governo si arroga il diritto di decidere che non si tratta di un bene necessario. C’è una disparità di trattamento che non può essere subita passivamente, a meno di non abdicare alla propria libertà di coscienza.

Si potrebbe anche chiedere alla task force del Governo – composta dai massimi esperti della salute – quale criterio porta a ritenere utile e necessario l’acquisto delle sigarette e dannoso nutrirsi del Pane eucaristico. È un quesito che nessuno ha sollevato. Chissà perché. Ci sono senza dubbio interessi occulti. Mi piacerebbe anche sapere se tra i battezzati che con estrema facilità hanno rinunciato alla Santa Comunione, ovviamente per tutelare la salute di tutti, ci sono quelli che hanno scelto di mettere da parte il tabacco. Almeno in tempo di pandemia. Questa sì, sarebbe una testimonianza assai significativa, anche perché, mi pare di poterlo affermare senza ombra di smentita, le sigarette non fanno bene alla salute. Anzi. Lo so, si tratta di domande inutili che non troveranno risposta. Gli esperti hanno altre cose da fare e i fumatori … lasciamo stare.

“In queste settimane ho sofferto molto. Sette anni fa ho scelto di partecipare ogni giorno a Messa, è diventato un appuntamento essenziale, l’incontro eucaristico mi dà la forza di vivere a testa alta tutti gli impegni e le responsabilità, dalla famiglia al lavoro. Tutto questo mi è stato tolto da un giorno all’altro. È stato come un’improvvisa eclissi”. È uno sposo che mi scrive questa testimonianza. Non si è chiuso nella superficiale e comoda obbedienza dei pavidi, ha chiesto come un mendicante di ricevere Gesù Eucaristia. Niente da fare. Fino alla domenica delle Palme quando la sua insistenza è stata premiata ed ha avuto la gioia di far parte del ristretto gruppo ammesso alla Celebrazione Eucaristica. “Ho pianto di gioia quando il parroco mi ha detto che avrei partecipato e ho pianto nuovamente quando mi sono accostato alla mensa eucaristica, dopo 27 lunghi giorni di lontananza”. Una testimonianza limpida che non ha bisogno di commento.

Qualcuno potrebbe dire che in fondo si tratta di casi piuttosto rari. Può darsi. Non è proprio una bella notizia, non è cosa di cui possiamo vantarci. Ma se fosse così, se davvero fossero pochi gli innamorati dell’Eucaristia, non dovrebbe essere difficile prevedere le modalità più opportune per “dare la razione di cibo a tempo debito” (Lc 12,42). Chi legge quel brano evangelico scopre che le parole di Gesù sono accompagnate da un severo rimprovero nei confronti degli amministratori infedeli.

Un credente non dovrebbe avere difficoltà a individuare qual è il bene necessario. I santi non hanno avuto dubbi né hanno dovuto fare lunghe indagini. Nelle Lodi al Dio Altissimo san Francesco d’Assisi esprime così la sua fede: Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene!”. Se venisse a mancare il primato di Dio, se la comunione con Lui non fosse più percepita come il primo dei beni e la sorgente di ogni altro bene, il cristianesimo svanirebbe o, peggio ancora, si trasformerebbe in una perfetta organizzazione umanitaria.

Quel Dio che supera infinitamente tutto ciò che è umanamente desiderabile, ha voluto assumere la forma eucaristica e attraverso questa via comunica all’uomo tutto il bene possibile. L’incontro eucaristico non può essere inserito nel capitolo delle devozioni private né può essere considerato utile ma non strettamente necessario. Qui è in gioco la fede della Chiesa. La fede nella sua essenzialità. Non dirlo con sufficiente chiarezza significa incrinare un punto fondamentale della coscienza cattolica. Solo alla luce di Dio, unico e sommo Bene, possiamo dare valore a tutti gli altri beni. Se questo Dio viene a mancare, l’unico metro di misura è quello dell’io. Un io sempre più manipolabile dal Potere.

Che l’Eucaristia sia un bene, anzi sia il Bene supremo, non lo dicono solo i testi del magistero, lo attestano anche coloro che hanno rischiato o donato la vita per ricevere o comunicare un bene così importante. Difficile trovare persone pronte a dare la vita per acquistare un libro di Saviano (copyright Costanza Miriano). Non mancano invece quelli che hanno perso tutto pur di non rinunciare a quel frammento di Pane, a cominciare dalla testimonianza di san Tarcisio (III secolo). Sarebbe interessante raccontare alcune vicende dei martiri dell’Eucaristia.

Ci sono molti cristiani che indossano con orgoglio l’elmetto della responsabilità sociale. Tutti desiderosi di arruolarsi nella protezione civile. Vi sono però altri cristiani che non hanno rinunciato a stare inginocchiati dinanzi a Gesù Eucaristia. Provate a immaginare la loro tristezza quando trovano le chiese chiuse. Anche ieri, festa della Divina Misericordia! Capisco che non tutti hanno voglia di compiere questo gesto, il primo e il più semplice gesto della fede. Ma non capisco perché negare agli umili battezzati la possibilità di restare ai piedi del Signore. Da parte nostra, da parte dei preti, è un peccato di omissione. 

C’è di peggio. Un mio amico ogni sera si reca in chiesa, come un mendicante. Un uomo di fede provata, testimone della carità più concreta, ministro della Santa Comunione. Da anni, ogni giorno partecipa a Messa. Un appuntamento essenziale. Oggi si accontenterebbe anche delle briciole, come il povero Lazzaro della parabola evangelica, basterebbe ricevere ogni giorno quel Pane che profuma di Dio. Lui ci crede, forse più di tanti preti, che quello è il Pane di Dio. Negare questa gioia ad un credente non è una forma di responsabilità ma un insulto al buon senso. Una forma di egoismo spirituale o, peggio ancora, un segno di quell’aristocratica indifferenza che il ricco riserva al povero. Ed è un virus non meno pericoloso di quello che oggi fa paura a tanta gente.




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