Riapertura delle chiese

Il problema del “sine die” e la bussola della Costituzione

di Vito Rizzo

Il Governo dice no alle Messe con popolo, la CEI risponde definendola una scelta arbitraria. I cattolici sono divisi tra “zelanti” e “zeloti”. Ma qual è il punto della questione? E, soprattutto, da dove ripartire?

Da credenti siamo abituati all’attesa. È un tempo di cammino, di preghiera, di purificazione. È il tempo “necessario”. Al popolo di Israele per raggiungere la terra promessa, ai discepoli per mettersi alla sequela, a Gesù per accettare la sua missione, agli apostoli per farsi annunciatori della Parola, alla Chiesa per vivere il tempo del «già e non ancora», ai cristiani per vivere i tempi forti della Pasqua o del Natale.

Papa Francesco direbbe che l’attesa è un processo aperto, vissuto nella consapevolezza che «il tempo è superiore allo spazio» (EG 222). Ma cos’è che manca in questo tempo? Cosa rende l’attesa quasi insopportabile? Manca la speranza dell’annuncio. Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è un conflitto escludente di valori, un vedere non riconosciuto un valore fondamentale. Esclusione, non la sola compressione, per esigenze concrete e per un tempo limitato, di una forma essenziale della propria esistenza.

Qui non c’è da fare il tifo per l’uno o per l’altro, tra fede intimistica e tra fede ecclesiale, tra fede di popolo e fede teologica, tra prudenti e irresponsabili, tra timorosi e coraggiosi, tra “zelanti” e “zeloti”. Qui c’è da dare corpo alla speranza nei cuori deboli del popolo di Dio. La delusione della mancata risposta governativa alle aspettative dei cristiani espresse dalla Conferenza Episcopale Italiana è stata determinata dal “sine die”; non il 4, l’11 o il 18 maggio e neanche l’1 giugno o giù di lì. 

Si può comprendere l’attesa se si ha di fronte la meta, si matura così la consapevolezza del perseguimento del bene comune e del bene della comunità. L’unico a cui è riconosciuta la signoria assoluta sul nostro tempo è il Signore (Mt 25,13), non Cesare. Come ha ben detto la presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, citando espressamente il Qoelet nella sua relazione annuale: «C’è un tempo per ogni cosa». Un modo anche questo per ricordare a noi tutti che la Costituzione «non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole, ma offre la bussola anche per navigare per l’alto mare aperto nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini». Si potrebbe ripartire da qui.




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