Ascensione del Signore Gesù Cristo – Anno A – 24 maggio 2020

Gustare la bellezza delle cose senza smarrire la destinazione

Ascensione del Signore

La libertà ci pone sempre sul crinale della decisione, siamo continuamente interpellati dagli eventi, sempre chiamati a compiere scelte. E come possiamo capire quello che è veramente bene per noi?

Dal Vangelo secondo Matteo (28,16-20)
Mi è stato ogni potere in cielo e in terra.
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

“Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada” (Gv 16, 7): così dice Gesù ai discepoli nell’immediata vigilia della Passione. Questo annuncio si realizza in due momenti: la Passione e l’Ascensione. Il primo evento è ben presto colmato dalla gioia della Resurrezione. Il secondo invece appare come il segno definitivo della distanza infinita che separa l’uomo da Dio. Il Figlio unigenito, Colui “che è nel seno del Padre” (Gv 1,18), ritorna nell’intimità di Dio. La vicenda terrena è solo una parentesi, un’improvvisa luce che rischiara la storia. Poi tutto sembra tornare come prima. È ovvio che questo annuncio è accolto con tristezza da parte dei discepoli: “perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore” (Gv 16,6). Hanno tutte le ragioni per essere tristi: loro che più di tutti hanno sperimentato la vicinanza di Dio, ora si sentono nuovamente soli, orfani. Nei volti dei discepoli c’è lo stesso smarrimento che leggo nelle parole di quei due che camminano verso Emmaus.
E tuttavia Gesù dice che la sua partenza è un bene (letteralmente conviene). Troviamo lo stesso verbo in riferimento agli eventi decisivi della storia salvifica, personale ed ecclesiale. In riferimento alla prima, Matteo dice: “Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5, 29). In relazione alla seconda leggiamo in Giovanni: “non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11, 50). Il bene di cui parla Gesù non è comprensibile con i sensi, le emozioni non riescono a vedere oltre l’immediato. Anche l’umana ragione appare inadeguata per comprendere il valore della croce. Solo la fede può dare quella luce necessaria per guardare oltre e vedere quello che è invisibile agli occhi della carne.
Questa parola è densa di riflessioni: vi è un bene salvifico che a noi non appare affatto come tale; vi sono strade che noi cerchiamo a tutti i costi di evitare, eppure è proprio per quei sentieri che passa la grazia! Lasciamoci perciò istruire da Dio, i nostri sensi, anche quelli spirituali, sono inquinati e perciò incapaci di percepire il vero bene. “Tutto mi è lecito! Ma non tutto giova” (1Cor 6,12), dice Paolo. La libertà ci pone sempre sul crinale della decisione, siamo continuamente interpellati dagli eventi, sempre chiamati a compiere scelte. E come possiamo capire quello che è veramente bene per noi? Come possiamo custodire la libertà interiore e spezzare l’incanto delle sirene, antiche e nuove, che affascinano ma fanno perdere la rotta? In altre parole, come gustare la bellezza delle cose senza smarrire la destinazione. Non possiamo camminare con gli occhi chiusi, abbiamo bisogno di rimanere saldamente aggrappati a Dio e di fare della Parola il canto che vince in bellezza ogni altra melodia.

Il dono del Consolatore

La convenienza di cui parla Gesù è legata al dono dello Spirito: “se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore” (Gv 16,7). Gesù non si ritira, non lascia il posto allo Spirito, al contrario proprio grazie a Lui si rende nuovamente presente nella storia degli uomini. Per questo può dire agli apostoli: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Come il Figlio è immagine del Padre, così lo Spirito rende presente il Figlio. È lo Spirito che ci introduce in una nuova e più intima comunione con Dio. È Lui infatti che risveglia la coscienza filiale – Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6) – e ricorda le parole di Gesù: “Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16,14). Paolo può esclamare con il cuore colmo di stupore: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). Si realizza così una nuova prossimità, una relazione più intima con Dio. Colui che prima era presente solo in quella terra e per quella gente, innalzata alla destra di Dio, diventa il Signore a cui tutti possono guardare.
Lo Spirito ci istruisce interiormente e mantiene il nostro sguardo fisso sul vero bene, cioè sull’eterna gioia. In Gesù innalzato alla destra del Padre noi contempliamo la meta verso cui camminiamo. Nella la sua umanità trasfigurata noi abbiamo un segno sicuro, sappiamo con certezza che anche la nostra fragilità è stata redenta. E sapendo che quella è la nostra dimora definitiva, siamo chiamati ad abitarvi fin d’ora con il cuore. Questo fatto non ci allontana dalla storia, non ci fa vivere in questo mondo come turisti sfaccendati. Siamo infatti testimoni di quello che è accaduto e abbiamo il dovere di annunciare anche agli altri uomini quella gioia che a noi è stata data. È questo il mandato che chiude il Vangelo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). Questo annuncio si fa carne, è la nostra esistenza che deve essere redenta e diventare testimonianza viva di quello che è accaduto.
Fare il bene per noi significa vivere ad immagine del Figlio. Essere nella storia il segno visibile della sua presenza. Questo compito è affidato alla Chiesa, che è il “corpo di Cristo” (1Cor 12,27). In essa Cristo vive ed opera mediante lo Spirito. E noi stessi riceviamo la vita e veniamo nutriti attraverso la Chiesa. La Pentecoste è un evento che coinvolge la Chiesa e che la presenta al mondo come essenziale mediazione salvifica. “Veglia il piccolo gregge / con Maria nel cenacolo” (Inno delle Lodi): le parole di questo inno liturgico ci fanno compagnia in questa settimana che culmina con la Pentecoste. In questi giorni preghiamo come Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa. Siamo noi quel “piccolo gregge” che chiede nuovamente e con umiltà di essere rivestito dalla grazia dello Spirito per continuare ad operare nella storia i prodigi compiuti da Gesù.

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