CORRISPONDENZA FAMILIARE

di Silvio Longobardi

Cari sposi, è il tempo giusto per ripartire. Con nuovi criteri

25 Maggio 2020

coppia

“Adesso che la pandemia volge al termine mi è chiaro che non possiamo farcela da soli. Abbiamo bisogno di essere aiutati, Dio ci chiede un passaggio di umiltà, ci invita a chiedere aiuto”.

Caro don Silvio,

in questo tempo non ci hai fatto mai mancare la tua presenza e seppur non ci siamo fatti sentire con grandi parole abbiamo seguito, meditato e cercato di digerire tutte le sollecitazioni che ci sono arrivate. Hai ragione quando dici che questo è un anno eucaristico non proclamato: è proprio così. Questo evento ci ha imposto tante cose e tra queste la più impegnativa è proprio quella di non poterci accostare al banchetto eucaristico. 

Per noi e per la nostra famiglia è stato e, purtroppo, è ancora un periodo molto duro, un momento di prova grande per diversi aspetti. C’è una grande confusione di pensieri generata proprio dal fatto che in questi giorni di calma e di silenzio, Dio ha potuto parlare con forza, si è fatto chiaramente presente nella nostra casa. Troppo spesso lasciamo che Dio non entri nelle nostre case, lo lasciamo sull’uscio, non gli permettiamo di entrare come il padrone. In casa ogni maschera cade, ogni atteggiamento, ogni costruzione su quello che siamo di fronte al mondo, su quello che la vita ci impone di essere in un’ottica di sopravvivenza sociale, cade, e siamo solo noi stessi. 

Ed è in casa che ci riscopriamo stanchi, fragili, immensamente bisognosi di aiuto. Nelle nostre case siamo figli che chiedono a Dio di essere amati e di poter sperimentare la grazia della sua presenza. Questo tempo ci ha imposto un’immediata fermata a quella corsa che ci vedeva impegnati nelle nostre giornate. Per la nostra famiglia è stato non un ritrovarsi ma un trovarsi finalmente insieme: 

  • in tanti anni di matrimonio – sono ormai dieci – quasi mai abbiamo pranzato a casa nostra insieme, i ritmi lavorativi non ce lo hanno mai permesso; io stessa non sapevo cosa significasse avere la premura di preparare ogni giorno il pranzo per i miei cari;
  • in tutti questi anni mio marito non aveva mai partecipato in maniera così intensa alla giornata delle bambine, soprattutto a quella dell’ultima arrivata. In questi due mesi ho notato con gioia che tra il papà e le bambine è cresciuta una relazione che prima non c’era e che senza questo tempo non sarebbe stata possibile. 

Sono venute alla luce tante cose che prima tacevamo perché presi dalla corsa quotidiana ci siamo disabituati al dialogo di coppia. Tante volte mi sono detta di quanto sia penoso aver assaporato la bellezza delle cose e poi averle perse. Chi ha molto ricevuto, come noi, nel tempo del fidanzamento e nei primi anni di matrimonio, porta nel cuore una pena immensa quando si accorge di non riuscire a far fronte alle numerose difficoltà, a mantenere il ritmo della vita e a custodire quanto ricevuto negli anni della giovinezza.

Ci ho pensato spesso ma oggi lo vedo con maggiore chiarezza: ci siamo persi! Ne prendo consapevolezza proprio perché questo tempo ci ha ridato spazio. Abbiamo perso la capacità di metterci l’uno di fronte all’altro e abbiamo continuato a camminare l’uno di fianco all’altro ma senza mai incontrarci. Faccio fatica a scrivere queste cose perché il solo fatto di prenderne coscienza mi spaventa, anzi mi terrorizza al punto che al solo pensiero si blocca il respiro.

Adesso che la pandemia volge al termine mi è chiaro che non possiamo farcela da soli. Abbiamo bisogno di essere aiutati, Dio ci chiede un passaggio di umiltà, ci invita a chiedere aiuto. Abbiamo bisogno di una guida spirituale, non basta pregare, alzarsi nel cuore della notte per adorare il Santissimo. Tu ci conosci e puoi darci suggerimenti concreti per rimetterci in cammino.

Con affetto immenso

Monica e Gabriele 

 

Cari amici,

vi ringrazio per la vostra condivisione che mi permette di entrare nel vostro vissuto e di comprendere le fatiche di una vita in cui non è facile intrecciare tante e diverse preoccupazioni, c’è sempre il rischio che qualcosa o qualcuno venga trascurato. La vostra analisi è onesta e precisa, per molti aspetti somiglia ad una confessione in cui si compie una verifica sincera del proprio cammino. 

Riconosco che è davvero difficile tenere insieme una vigorosa vita di fede con le responsabilità familiari e lavorative. Queste ultime due finiscono per avere un’oggettiva prevalenza e ridurre notevolmente gli spazi dedicati a nutrire la fede. Non appare come una scelta ma una necessità. Per la serie: “Non possiamo fare diversamente. Senza il lavoro non si campa e se togliamo ai figli anche il poco che resta, siamo genitori incoscienti”. Tutto appare vestito di normalità. All’inizio non ci si rende conto che il grande errore è quello di lasciare Dio sull’uscio Dio casa, per usare un’efficace immagine della vostra lettera. Ma poco alla volta 

  • la fede si affievolisce, non è più la regina della casa, quella che mette ordine dei pensieri e detta l’agenda della vita;
  • la vita coniugale s’impoverisce per far posto alle altre e più urgenti necessità legate ai figli e al lavoro.

La vita si spegne lentamente e si entra in quel circuito che si chiama dovere che soffoca i sogni ingenui della giovinezza sotto il mantello della responsabilità che impone l’agenda della vita. Ci si consola, pensando di essere persone mature che non stanno cercando il piacere ma il bene degli altri, in primis quello dei figli. Fino a quando non ti svegli e ti rendi conto che anche i figli soffrono a causa di questa lontananza. 

Quello che voi scrivete è l’esatta fotografia di tante famiglie. Ci sono papà che vedono pochissimo i figli, non giocano con loro quando sono piccoli né hanno tempo per costruire una relazione dialogica. Più che assenti, sono estranei. Alcuni si adattano a questo ruolo, anzi son convinti di portare il peso maggiore perché si sacrificano per tutti. Le mamme hanno meno problemi perché la dimensione domestica e l’accudimento dei figli favoriscono una maggiore presenza e una relazione affettiva più intensa. Ma quando una donna lavora l’intera giornata – come è accaduto a te, – è costretta comunque a dare le briciole. E prima o poi scopre che tutto questo non basta. 

La vostra esperienza potrà tornarvi utile per capire quello che accade in tante famiglie. Quando non c’è una robusta vita di fede e manca una comunità che accompagna e sostiene, è facilissimo abbandonare anche l’esile filo della Messa domenicale e ritrovarsi privi di ogni riferimento sacramentale ed ecclesiale.

Il resto è cosa nota: “Senza di me non potete far nulla”, abbiamo meditato nel Vangelo di ieri. Senza Dio non siamo capaci di scrivere pagine che hanno il profumo del Vangelo. Anzi, non siamo capaci neppure di vivere l’amore coniugale nella sua verità perché senza Dio non siamo capaci di accogliere l’altro, inevitabilmente cadiamo nella pretesa e nel giudizio, ciascuno vorrebbe dall’altro quello che in realtà non è in grado di donare. Se Dio non è più la luce, ci aggrappiamo alle cose, a tutto quello che rende piacevole e/o sopportabile la vita. 

Cari amici, se avete sperimentato il deserto, potete capire chi ha sete e potete capire anche chi nega di avere sete. Questa esperienza può diventare il punto di ripartenza per voi, un nuovo inizio, come ha scritto il Vescovo Giuseppe nella sua Nota pastorale [Mons. Giuseppe Giudice, vescovo di Nocera Inferiore – Sarno]. La vita è fatta di ripartenze. Sono i momenti più dolorosi – perché si tratta di riconoscere che ci siamo fermati o abbiamo sbagliato strada – ma anche quelli che danno maggiore slancio.

Per riprendete il vostro cammino ciascuno di voi deve rispondere alla domanda, la stessa che Gesù ha posto a Pietro: “Mi ami tu?”. Solo se gli diciamo un sì pieno e sincero, Lui risponde: “Pasci le mie pecorelle”. Nel vostro caso: “Prenditi cura del tuo sposo, della tua sposa, dei tuoi figli”. Ma ricorda che potete dire “mio” solo perché avete riconosciuto che marito / moglie e figli sono anzitutto figli amati da un Dio che li affida a voi.

Ho voluto raccogliere e consegnarvi i pensieri per rispondere alla vostra bella lettera. Meditate queste parole prima di avere un colloquio che possa aiutarvi ulteriormente a fissare i punti per continuare il vostro pellegrinaggio. Con affetto.

Don Silvio




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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