
Cristo è tutto, tutto in Cristo
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,17-19)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».
Il commento
“Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti” (5,17). Prima di dare la parola a Gesù, l’evangelista vuole chiarire qual è il suo ruolo nella secolare storia d’Israele. È un tema importante e decisivo che attraversa tutto il suo Vangelo. Con sapienza ispirata riassume tutto in queste parole attribuite allo stesso Gesù: “Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (5,17). Da una parte il Nazareno si inscrive con umiltà nel contesto di quella vicenda che ha trovato in Abramo il suo capostipite (Mt 1,1); e dall’altra si presenta come l’oggettivo e indiscutibile punto di arrivo di quella storia. Il suo insegnamento non si presenta dunque come una pagina profetica, che si aggiunge a tutte le altre che lo hanno preceduto, ma proclama l’ultima e decisiva Parola di Dio. Il Vangelo “purifica, supera e porta alla perfezione” la Legge antica (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1967). “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1-2).
Affermare che tutto si compie in Gesù Cristo significa riconoscere che senza di Lui non possiamo raggiungere e gustare la maturità della vita. Senza il Vangelo la storia personale e collettiva resta confinata in una sostanziale minorità. Prima di incontrare il Signore, scrive Paolo ai Colossesi, “eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive” (Col, 1,21). È sua la Parola che rischiara il nostro cammino e svela il senso ultimo delle cose. Se Gesù scompare dal nostro orizzonte esistenziale, rischiamo di smarrire la strada: i desideri diventano diritti, i valori vengono stravolti, il bene viene rigettato, il male esaltato o tollerato. Se Cristo è tutto, da Lui riceviamo tutto il bene. Impegniamoci perciò a custodire, coltivare, fortificare la fede in Lui. È questo l’imperativo. È questa la regola da perseguire sempre con determinazione e con eroica fedeltà nel tempo della prova. Se restiamo uniti al Signore, nulla ci manca.
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