
Non siamo più terra e cenere
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-58)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Il commento
“Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (6,51). La catechesi eucaristica di Gesù apre un acceso dibattito, prima tra i Giudei (6,52) e poi tra gli stessi discepoli (6,60). Le parole del Nazareno hanno creato un clima di palpabile tensione, hanno acuito la distanza con gli avversari e hanno generato una fronda interna. Tutti sono sconcertati, alcuni sono scandalizzati. La sua scarsa diplomazia alimenta il contrasto con i Giudei e suscita crescenti dubbi tra i discepoli. Umanamente parlando si tratta di un vero disastro. Gesù non è un ingenuo ma un maestro che deve annunciare la verità. Conosce i rischi che corre ma sa bene che su questo punto non può essere accomodante. È una verità scomoda ma salutare, la Chiesa deve custodirla e annunciarla “opportune importune”, come scrive l’apostolo Paolo (2Tm 4,2).
La festa liturgica è relativamente recente (XIII secolo) ma la dottrina è antica, appartiene alla verità essenziale della fede. L’amore per l’Eucaristia attraversa tutta la storia della Chiesa. San Giovanni Crisostomo (IV secolo) annunciava così questo mistero: “Non sapete che questa mensa è piena di un fuoco spirituale e che, come dalle fonti sgorga acqua, così questa mensa contiene una fiamma misteriosa?”. E ancora: “Grazie a questo Corpo io non sono più terra e cenere, non sono più prigioniero, ma libero; per questo io spero i cieli e di possedere i beni che si trovano in essi, la vita immortale”. È davvero questa la nostra coscienza di fede? Con questa fede ci accostiamo alla mensa eucaristica? Abbiamo l’intima certezza che tutto il mistero di Dio è racchiuso in questo minuscolo frammento della creazione? L’esperienza della pandemia ha messo seriamente alla prova questa fede e non tutti sono usciti vincitori. Anzi, corriamo il rischio di sminuire la centralità dell’incontro eucaristico. “Quanto più viva è la fede eucaristica nel Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 6). Oggi chiediamo la grazia che questo mistero possa risplendere e rischiarare il cammino del popolo di Dio.
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