XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 5 luglio 2020

“Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi”

Gesù

Gesù conosce il cuore dell’uomo. Per questo dice a tutti: “Venite a me”. Egli è venuto proprio per rivelare l’infinita misericordia di Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo (11,25-30)

In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

In un contesto segnato dai dubbi di Giovanni Battista – “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?” (11,2-5) – e dall’incredulità della gente (11,16-24) si situa questo brano che raccoglie in una preghiera la coscienza di Gesù circa la sua missione. Nonostante i numerosi segni compiuti, Gesù si scontra con l’incredulità dei farisei e l’incomprensione degli stessi discepoli. Le dure parole contro Corazin, Betsaida e Cafarnao, le città della Galilea in cui ha compiuto il maggior numero di miracoli, esprimono l’interiore amarezza di Gesù (11,20-24). Il Regno è già venuto, ma come è difficile accoglierlo. I contrasti e le incomprensioni, il rifiuto e le ostilità non sono per Lui un freno. Anzi, in questi eventi egli vede un misterioso dipanarsi della promessa salvifica. Non sono i sapienti d’Israele a comprendere la rivelazione, ma i piccoli e gli umili, quanti accolgono senza pretese la Parola:

“Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli [nepios]” (11,25).

La luce di Dio non entra nelle case che sono già troppo rischiarate dalla sapienza umana ma prende dimora nel cuore di quelli che si aprono con umiltà alla grazia. Gesù attribuisce tutto questo all’azione del Padre. In realtà qui è in gioco la libertà dell’uomo: Dio fa sorgere per tutti il sole ma non tutti si lasciano riscaldare dalla sua luce. Egli dona a tutti la grazia. Il rimprovero alle città della Galilea, quelle in cui ha operato molti miracoli, si comprende proprio in forza della libertà. È l’uomo che rifiuta la grazia.
Questa Parola ci invita a rimanere sempre piccoli, cioè a riconoscere la nostra radicale incapacità e perciò ad essere sempre disponibili per accogliere la grazia. La presunzione ci chiude in una gabbia dorata, l’umiltà invece alimenta la coscienza del limite e favorisce l’apertura. Se rimaniamo piccoli, Dio continuerà a nutrirci con la sua Parola. Piero Gheddo, missionario per vocazione ma di professione giornalista, racconta che in uno dei suoi molteplici viaggi ha incontrato in India Beda Griffith, un monaco benedettino inglese che ha fondato un monastero di stile indù, il quale gli ha detto:

“Vedi, noi cristiani non cerchiamo Dio nella nostra vita. Crediamo già di possederlo. Abbiamo il Vangelo, l’Eucaristia, la Chiesa, per cui siamo tentati dalla pigrizia e dalla sufficienza. […] Dio si nasconde a chi vive nell’indifferenza, ma si rivela a chi lo cerca con cuore sincero. Per disporti al contatto con Dio rinunzia a quello che è superfluo, prega di più, mangia di meno, fa’ qualche mortificazione volontaria. Non vivere una vita superficiale. Chiedi umilmente a Dio che ti faccia conoscere il suo volto” (P. GHEDDO, Otto minuti di Vangelo in TV, Casale Monferrato 1993, 49).

Chi pensa di aver già conosciuto Dio, vive nell’ignoranza e in realtà forse non conosce nemmeno se stesso. I piccoli non sono coloro che sono privi di certezze ma coloro che sono sempre disposti a lasciarsi sorprendere da Dio.

Venite a me

Nella seconda parte del brano evangelico troviamo un invito assai consolante: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi” (11, 28). Questo invito vale per ogni uomo e per ogni situazione.

  • L’uomo di oggi vive più che mai nell’affanno: sempre più schiavo delle cose, chiamato a produrre e a consumare. Anche il tempo libero invece di costituire un’opportunità per riposare, dà luogo a nuove schiavitù. Immerso nel fare, l’uomo perde il contatto con Dio. Troppo preoccupato di se stesso, dimentica che solo in Dio può trovare la pace del cuore.
  • Ma vi è anche un’altra situazione, ancora più drammatica e spesso fonte di angoscia. Quando l’uomo scopre di aver lavorato inutilmente. Il profeta Isaia esprime così questa coscienza: “Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza alla terra e non sono nati abitanti nel mondo” (Is 26,18). Insomma, ci siamo affannati inutilmente. L’impegno, frutto della presunzione umana, è destinato al fallimento.

Gesù conosce il cuore dell’uomo. Per questo dice a tutti: “Venite a me”. Egli è venuto proprio per rivelare l’infinita misericordia di Dio. Scrive Raissa Maritain a questo proposito: “Se noi potessimo scorgere per un solo istante quest’infinita misericordia, moriremmo d’amore ed entreremmo nell’eterna Beatitudine” (Diario di Raissa, 97).

Il mio giogo è leggero

Molti cristiani vivono la fede come un insieme di precetti che impegnano e stancano. È la stessa mentalità farisaica contro la quale si è scagliato Gesù con parole di fuoco. In questo brano egli invita a prendere il suo giogo perché, assicura, è dolce e leggero (11, 29-30). Questa parola può sorprendere chi conosce le esigenze del Vangelo. Lo stesso Gesù non ha paura di indicare ai discepoli la via della croce (Mt 16,24). In realtà Gesù invita a vivere l’esperienza della fede come Lui l’ha vissuta. Per questo dice di prendere il suo giogo e chiede di imparare da Lui, “mite e umile di cuore”. La croce non è certo leggera, ma è l’amore che la rende tale. La legge del dovere non trova spazio nella vita di Gesù, l’obbedienza è un gesto di amore nei confronti del Padre, nasce dal desiderio di vivere per Lui solo. Ci spieghiamo così il riferimento alla mitezza e all’umiltà: la mitezza è la capacità di guardare persone e cose senza alcuna volontà di dominio; l’umiltà consiste nel farsi piccoli.

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