
Preghiera muta
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 9,18-26)
In quel tempo, [mentre Gesù parlava,] giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli. Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell’istante la donna fu salvata. Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andata via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.
Il commento
“Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata” (9,22). Ha fatto tutto di nascosto, è comprensibile, non poteva raccontare a nessuno quella malattia che la rendeva impresentabile; né poteva condividere con gli altri il suo ingenuo progetto. L’avrebbero presa per pazza. Si avvicina e tocca il “lembo del mantello” (9.20). Quel giorno vi è tanta altra gente che si accalca attorno a Gesù e molti di loro lo toccano, come leggiamo nel racconto di Marco (5,31). Si tratta di un contatto casuale che non produce effetti sulla vita delle persone. La donna invece si avvicina sospinta da una fede sorprendente, non è necessario dire parole, è convinta che il solo contatto con il mantello, anzi con un semplice frammento del mantello, come sottolinea l’evangelista, sia più che sufficiente per ottenere la guarigione. Gesù invita i discepoli a pregare con poche parole (Mt 6, 7-8), questa donna prega senza parole. Una preghiera muta ma assai efficace perché è impastata di fede.
Questa scena suscita una serie di domande e chiede di un onesto esame di coscienza. Come la donna del Vangelo anche noi, immersi nella folla, abbiamo la possibilità di accostarci ogni giorno al Gesù e abbiamo il privilegio di toccarlo. Con quanta fede ci accostiamo all’Eucaristia e riceviamo il Corpo del Signore? siamo interiormente sospinti dalla fede oppure dall’abitudine? Teresa di Lisieux aveva maturato una limpida coscienza eucaristica: “Sento in me la vocazione del Sacerdote: con quanto amore, o Gesù, ti porterei tra le mani quando, alla mia voce, discenderesti dal Cielo… Con quanto amore ti darei alle anime!…” (Ms B 2v). Nella celebrazione eucaristica, appena prima di ricevere il Pane della vita invochiamo Gesù, “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. La liturgia non è la recita di un copione che si ripete stancamente ma un evento sacramentale che ogni volta si rinnova e ci rinnova. Oggi chiediamo la grazia di proclamare queste parole con la certezza che l’incontro con Gesù ha la forza di guarire le nostre ferite.
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