CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

L’intolleranza diventa legge. Prepariamoci alla resistenza…

20 Luglio 2020

Dopo l’approvazione della Legge bavaglio anche le residue sacche di resistenza culturale saranno ridotte al silenzio. Arrendersi o… arrendersi. Non c’è alternativa. Come scrive Costanza Miriano, la Legge non dice “cosa vuol dire discriminare” né “cosa vuol dire omofobia”. Due elementi non marginali.

Mi ha sempre colpito la storia di Jack Phillips, un pasticciere americano che rifiutò di preparare una torta nuziale per una coppia omosessuale. È bene precisarlo subito per coloro che hanno l’obiezione pronta: il nostro amico non aveva alcun problema a preparare biscotti e dolci per il compleanno dei suoi clienti, qualunque fosse il loro credo e le loro convinzioni in campo sessuale, ma aggiunse che la sua coscienza religiosa non gli permetteva di partecipare in alcun modo ad un evento che contrastava con la sua fede.

I due candidati al matrimonio ci sono rimasti male. Li capisco. Avrebbero voluto che tutto il mondo fosse d’accordo con loro. Tutti. Nessuno escluso. A loro non basta la maggioranza, vogliono l’unanimità. Li capisco ma bastava un po’ di comprensione, un sorriso. E via… non avrebbero avuto alcuna difficoltà a trovare un altro pasticciere. E invece, proprio loro che predicano la tolleranza, hanno fatto guerra a quel pover’uomo, lo hanno portato in tribunale. Quelli che si presentano come i condannati della storia, oggi non temono di indossare la veste dei giudici e sono pronti a usare la mano pesante pur di imporre la propria concezione della sessualità. Uguale e contrario al trattamento che dicono di aver ricevuto. Denunciato come discriminatorio, il nostro Jack è stato condannato da diversi tribunali ma non s’è dato per vinto, ha voluto far ricorso ed è giunto alla Corte Suprema che gli ha dato ragione. Ma non sempre è andata così, anzi tante volte ha vinto l’intolleranza e chi manifestava in forma ragionevole il suo dissenso ha perso il lavoro, è stato cacciato via come un reprobo, messo alla berlina da una società che a parole combatte ogni forma di razzismo ma nei fatti condanna quelli che non sono pronti ad allinearsi al pensiero comune.

Il Parlamento si prepara a discutere e ad approvare senza colpo ferire una Legge che pretende di scrivere la verità su una questione che appartiene al confronto culturale e dovrebbe rimanere oggetto di un dibattito serio e approfondito. La cultura gender viene imposta per Legge. È solo l’ultimo anello di una catena che lega sempre più strettamente la politica al mondo della finanza e della tecnologia. In pochi anni la cultura gay ha vinto tutte le battaglie ed oggi si presenta come il cavallo vincente. E sappiamo, come diceva argutamente Ennio Flaiano, che gli italiani – e non solo loro, aggiungo io – sono persone generose e sempre pronte a “correre in soccorso del vincitore”.

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Esaltare la diversità è bello, molto più difficile è riconoscere che gli altri possano pensarla in modo diverso. Lo ha scoperto a sue spese Guido Barilla – proprietario anche del marchio Mulino Bianco – quando fece il gravissimo errore di esaltare la famiglia senza virgolette affermando che la politica aziendale non avrebbe messo in conto una pubblicità che contemplasse anche le famiglie arcobaleno. Pensava di vivere in una società dove la libertà di pensiero ha ancora un valore. Si sbagliava. E ben presto si trovò costretto ad andare a Canossa, a piedi scalzi. Le sue idee non potevano essere tollerate. Non ci fu bisogno di usare l’esercito e neppure di scomodare gli avvocati. La minaccia di boicottare i prodotti commerciali fu più che sufficiente per far ritrovare al malcapitato la ragione. È accaduto pochi anni fa. Sembrano secoli. L’incauto Barilla è l’icona di un’epoca ormai lontana, anzi sepolta. Nessuno oggi avrebbe la sfacciataggine di affermare pubblicamente che si nasce maschi e femmine. Una tale unanimità dovrebbe sconcertare tutti coloro che amano la libertà perché è il segno strisciante di una dittatura. Ma pare che nessuno se ne accorga.

Era difficile anche prima. Figurarsi oggi. Dopo l’approvazione della Legge bavaglio anche le residue sacche di resistenza culturale saranno ridotte al silenzio. Arrendersi o… arrendersi. Non c’è alternativa. Chiunque può esprimere le proprie idee, dicono i promotori della Legge. Sì, ma con grande cautela, con sempre maggiore cautela perché ci sarà sempre qualcuno che potrà sentirsi offeso dalle parole più innocenti e ci sarà sempre qualche giudice pronto a dargli ragione. Anche perché, come scrive Costanza Miriano, la Legge non dice “cosa vuol dire discriminare” né “cosa vuol dire omofobia”. Due elementi non marginali. La genericità favorisce la più discrezionalità dei giudici creativi. Meglio stare alla larga.

La Cina è sempre più vicina. La sua politica, tanto vituperata nei salotti liberisti del mondo occidentale, è ormai diventata una moda. Anche in Occidente stiamo imparando che imbavagliare il dissenso è la premessa per vivere più tranquilli. Zitti e mosca. Sembra la cosa più ragionevole. Eppure non riesco a togliermi dalla mente quel pasticciere americano. È vero che una rondine non fa primavera ma fin quando ci saranno uomini che hanno il coraggio di perdere tutto pur di non rinunciare alla verità, abbiamo buoni motivi per sperare che la battaglia non è ancora persa.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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