
Se non vuoi diventare inutile
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Il commento
“Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (15,2). Stando al Vangelo ci sono due condizioni, e due soltanto: il tralcio sterile e quello fecondo. Chi non porta frutto sarà tagliato e chi porta frutto sarà potato. Non ci sono altre categorie. La prima è la condizione drammatica di chi viene escluso per sempre dalla storia di Dio; la seconda è l’esperienza di coloro che, restando legati alla vite, diventano partecipi della fecondità di Dio. Ma questo può avvenire solo se accettiamo di essere potati. Parafrasando Sant’Agostino possiamo dire: “chi non vuole essere tagliato, accetti di essere potato”. Il verbo greco [kathaírô] vuol dire togliere ciò che è sporco. È un’immagine quanto mai efficace: in ambito agricolo significa tagliare i rami inutili per favorire la crescita della pianta; nell’esperienza di fede indica quel processo di purificazione che chiede di togliere tutto ciò che impedisce o appesantisce il cammino spirituale, personale e comunitario. Se non siamo pronti a eliminare le cose inutile, sarà la nostra vita a diventare inutile.
C’è un dettaglio non marginale: stando al Vangelo non siamo noi a decidere come e quando potare. È Dio che prende l’iniziativa. La Lettera agli Ebrei, riprendendo un testo della sapienza antica (Pro 3,12), ricorda ai cristiani della prima ora una regola che i cristiani adulti del nostro tempo hanno dimenticato: “il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio” (Eb 12,6). Oggi abbiamo paura di dire che Dio castiga perché pensiamo che ogni sofferenza sia un male. È un grande errore. Un monaco ha scritto: “La Provvidenza pota, scalpella, leviga, martella le anime servendosi di chi sta vicino. La persecuzione da parte delle persone buone è anche una prova … Difetti, passioni, errori, ingiustizie degli altri ti purificano, ti liberano dall’amor proprio” (Le porte del silenzio, Milano 1986, 23). I santi hanno accolto di buon grado ostacoli e sofferenze, la santificazione passa attraverso la purificazione. Oggi chiediamo la grazia di vivere ogni evento come una dolorosa e santificante potatura.
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