
“Grazie a quella casa famiglia ho ritrovato il mio posto nel mondo”
Oggi la lettera-testimonianza di una giovane donna che ha trovato rifugio in una casa famiglia dai venti avversi della vita: “I primi anni della vita di mia figlia li abbiamo vissuti lì, in quella casa famiglia, un’oasi nel deserto. L’unico posto al mondo in cui mi sentivo realmente al sicuro”.
La storia di A. scritta da Ida Giangrande
Sono arrivata in casa famiglia sfiancata dal dolore. Avevo solo 19 anni eppure avevo già visto dove può arrivare la cattiveria umana. Mio padre era un uomo violento, mia madre una donna fragile e insicura, incapace di proteggere finanche se stessa. Per sfuggire alla mia famiglia mi infilai in una storia difficile con un ragazzo altrettanto violento. Una maledizione? No, non credo. Molte donne finiscono con innamorarsi di un uomo simile al loro padre e per me è stato esattamente così. Rimasi incinta molto presto. Un figlio che nessuno voleva. Nessuno a parte me. Mio padre provò a farmelo perdere a suon di botte, il mio fidanzato anche. Quando rientrai a casa quella notte non riuscii a riconoscere il mio viso attraverso lo specchio: un occhio viola, il labbro gonfio. Presi una busta, infilai dentro poche cose alla rinfusa e senza una logica. Aspettai che i miei si addormentassero e poi scappai nel cuore della notte.
Per strada la notte sembra ancora più buia soprattutto quando sei sola e non sai dove andare. Immagini cosa si possa nascondere dietro le finestre chiuse delle case, la vita delle persone normali, una camera, un letto, un posto al sicuro, il tuo posto nel mondo. Mi rivolsi ai Carabinieri. Mi portarono in ospedale, la dottoressa di turno con l’aria un po’ assonnata, mi disse che la gravidanza era ancora in atto. Ed io, gli occhi fissi sul tetto trapuntato di luci, non sapevo se essere felice o disperata. Volevo quel bambino, ma ero sola, non avevo un lavoro e ora nemmeno una casa. La dottoressa mi mise in contatto con un sacerdote e grazie a lui mi si aprirono le porte di una casa-famiglia per ragazze madri.
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Pensavo si trattasse di mini collegi con operatori turnanti, dove, se ti va bene, ti danno una stanza e invece, si trattava di una vera casa, con una famiglia altrettanto vera. Mi accolsero con delicatezza. Lasciandomi spazi di silenzio e di ascolto. Mi diedero protezione da mio padre e dal mio fidanzato. Mi aiutarono con la gravidanza, il corredino per la bambina, i controlli medici e poi il parto. Mi insegnarono a vivere come avrebbero dovuto fare i miei genitori. I primi anni della vita di mia figlia li abbiamo vissuti lì, in quella casa famiglia, un’oasi nel deserto. L’unico posto al mondo in cui mi sentivo realmente al sicuro. Le intrusioni dei miei uomini erano sempre più invadenti, quando il giudice affidò a me la bambina stabilendo che il padre era una persona troppo violenta, decisi di trovarmi un lavoro fuori dalla mia regione di appartenenza.
Non fu una scelta facile. La famiglia che custodiva la casa d’accoglienza, era diventata la mia famiglia, quella che non avevo mai avuto, quella di cui tutti hanno bisogno anzi, direi quella che tutti hanno il diritto di avere. Andarmene da lì è stato come perdere di nuovo il mio posto nel mondo. Ora lavoro, mia figlia ha una vita regolare. Qualche volta mi domanda di suo padre ed io so che prima o poi dovrò darle delle spiegazioni. Mi sono chiesta mille volte che cosa ne sarebbe stato di me se non avessi incontrato quella famiglia. Se non ci fosse stato nessuno a proteggermi. Grazie a loro sono madre, grazie a loro sono donna, grazie a loro ho imparato a vivere.
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