
Il tempo della fecondità
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 12,24-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».
Il commento
“In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (12,24). Il cerchio si stringe attorno a Gesù. La pressione del potere diventa sempre più soffocante. La resurrezione di Lazzaro suggerisce ai capi dei Giudei di rompere gli indugi (Gv 11, 47-57). Il Nazareno conosce tutto quello che si agita attorno a Lui. Il rifiuto la rattrista ma non lo chiude in un cupo pessimismo. La missione sembra avviata verso il più totale fallimento. Almeno così appare ad una lettura realistica dei fatti. E invece, Gesù canta vittoria e, contro ogni previsione, annuncia che sta per iniziare il tempo della fecondità. Ai discepoli, sempre più intimoriti e preoccupati, offre un’altra interpretazione degli eventi in cui l’esperienza drammatica della sofferenza s’intreccia con l’inguaribile speranza: il seme gettato nella terra annuncia la morte; ma quello che sembra la fine ingloriosa diventa invece l’inizio di una storia. Chi accetta di entrare nell’oscurità del dolore, sperimenta un’abbondante fecondità.
Le parole di Gesù non hanno solo un valore autobiografico ma anche ecclesiale, descrivono la vicenda del Maestro e annunciano quella dei discepoli. Questa parola non è affatto rassicurante, anzi contrasta con le nostre attese. In effetti, per sua natura l’uomo cerca di vivere al riparo dai problemi, evitando i rischi e/o cercando di ridurli al minimo indispensabile. Ed è cosa ragionevole. E tuttavia, ogni uomo porta in sé, nel cuore e nella carne, una radicata vocazione all’amore. Il buon Dio, scriveva Giovanni Paolo II, creandoci per amore ci ha chiamati all’amore (Familiaris consortio, 11). Chi ama non calcola né teme di correre rischi. Chi ama non misura la vita con il proprio benessere. Chi ama vince, anche se apparentemente viene sconfitto. È questa la via percorsa da Gesù. Ed è questa la strada che consegna ai discepoli: vivere nell’amore, rischiare per amore, donarsi per amore. Fare tutto per amore. La testimonianza e l’intercessione dei santi martiri ci aiutino a restare fedeli al Vangelo che abbiamo ricevuto.
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