XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 16 agosto 2020

Davvero grande è la tua fede?

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(Foto: bunyarit klinsukhon / Shutterstock.com)

A volte rimaniamo ostinatamente chiusi dinanzi al dolore, anzi facciamo di tutto per non incontrare la sofferenza, ci teniamo lontani da quei luoghi o da quelle persone in cui il dolore ha messo radici. Ma la Scrittura ci avverte: “Chi chiude l’orecchio al grido del povero / invocherà a sua volta e non otterrà risposta” (Pro 21,13).

Dal Vangelo secondo Matteo (15,21-28)

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

Una donna

Nella XX domenica del Tempo Ordinario incontriamo una donna che crede e non si arrende, una donna ostinata e fedele. È questo il volto della Cananea, la protagonista del brano evangelico che la liturgia ci offre. Il fatto avviene in territorio pagano – “verso la zona di Tiro e di Sidone” (15,21) – dove Gesù si ritira forse per intrattenersi più a lungo con i discepoli. Il viaggio probabilmente nasce anche dalla necessità di avere una sosta in una situazione che diventa sempre più critica. Alcuni esegeti fanno notare l’evidente contrasto tra questo racconto e il contrasto sull’impurità descritto nei versetti immediatamente precedenti (Mt 15,1-11).

L’evangelista Marco precisa che Gesù non voleva far sapere della sua presenza. Ma, come lo stesso evangelista annota, “non poté restare nascosto” (Mc 7,24). Doveva essere un viaggio in incognito. E difatti il Vangelo non racconta bagni di folla, come accade in patria, non parla di gente che si accalca per vederlo e toccarlo. C’è solo una donna che, superando ogni resistenza, s’intrufola in modo importuno e con prepotenza nel gruppo dei discepoli. Disturba la loro intimità e li costringe a fare i conti con la sofferenza.

Quel giorno la sua fede ostinata diventa la più bella catechesi per i discepoli che, rileggendo a distanza di tempo quest’esperienza, hanno compreso che la misericordia di Dio non ha limiti e vuole raggiungere tutti gli uomini. Tutti, escluso nessuno.

Un grido

La donna non si limita a chiedere con rispetto e cortesia, non conosce le armi della diplomazia, lei conosce solo una sofferenza che le impedisce di respirare. Per questo non si limita a presentare una richiesta accorata ma un grido [ekraúgasen]:

Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio (15,22).

È il grido della sofferenza: ella non chiede nulla per sé, si fa voce dei piccoli, diventa voce del dolore innocente. Quel grido racchiude la sua sofferenza, rivela la sua paura, comunica la sua rabbia. Come si fa a rimanere indifferenti quando un bambino soffre? Il suo grido spezza la serenità e costringe anche i discepoli ad aprire gli occhi sul mondo sommerso della sofferenza. La donna non ha argomentazioni, si limita a gridare. E nonostante l’iniziale rifiuto, continua a gridare (15,23). A tal punto che anche i discepoli sono coinvolti e forse sorpresi dall’atteggiamento assunto da Gesù. Il Vangelo infatti dice che “non le rivolse neppure una parola”. Per questo gli rivolgono un appello: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!” (15,23).

Vorrei far notare un dettaglio nascosto nelle pieghe del racconto. Nelle parole dei discepoli troviamo un verbo [krázō] che l’evangelista utilizzerà più tardi per descrivere il drammatico grido di Gesù sulla croce (Mt 27,50). Questa affinità semantica non può essere casuale ma suggerisce di pensare che in ogni nostro grido, risuona quello del Crocifisso. E ci invita anche a sperare che ogni nostra sofferenza diventi parte di quella storia salvezza che Dio vuole realizzare.

Prima di continuare a leggere questo brano, è bene fermarci su questo grido prolungato che squarcia la serena quiete di chi si preoccupa solo di se stesso. A volte rimaniamo ostinatamente chiusi dinanzi al dolore, anzi facciamo di tutto per non incontrare la sofferenza, ci teniamo lontani da quei luoghi o da quelle persone in cui il dolore ha messo radici. Ma la Scrittura ci avverte: “Chi chiude l’orecchio al grido del povero / invocherà a sua volta e non otterrà risposta” (Pro 21,13). Pensiamo di risolvere tutto con un’offerta e intanto lasciamo nella solitudine quelli che soffrono. Il dolore invece è una salutare e scomoda provocazione, ci costringe a uscire da noi stessi.

Per tutti i popoli

Anche Gesù sembra inizialmente chiuso al grido di quella donna. Non le rivolge neppure una parola, continua a camminare per la sua strada, non accoglie la sollecitazione dei discepoli. Questo suo atteggiamento – lo dice chiaramente sia ai discepoli che alla Cananea – non nasce dall’indifferenza ma dalla fedeltà ad una missione che non contempla un’azione profetica al di fuori dei confini d’Israele: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele” (15,24), dice ai discepoli che implorano un suo intervento. Egli è stato inviato come luce d’Israele. Spetta poi ad Israele diventare luce delle genti, portare a tutti la sua luce. Ma questo apparirà solo alla fine del Vangelo, quando affida ai discepoli il compito di andare in tutto il mondo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19).

Non è ancora il momento di aprire gli orizzonti missionari. Per questo risponde così all’insistenza della donna: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (15,26). Questo paragone potrebbe sembrare un insulto, ma la donna lo prende come una sfida e ribatte: “È vero, Signore – disse la donna – eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (15,27).

Dinanzi a questa fede umile e straordinaria anche Gesù si commuove: “Donna, grande è la tua fede!” (15,28). Le stesse parole che aveva rivolto al centurione, anche lui un pagano: “In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande” (Mt 8,10). Il profeta di Nazaret accoglie quel grido, potremmo quasi dire che si arrende. Più che concedere qualcosa egli dona alla donna quello che le spetta di diritto: “Avvenga per te come desideri” (15,28). La parola della donna ha la stessa forza della Parola di Dio, compie quello che desidera (Is 55,10-11). È la donna che strappa il miracolo, vince l’apparente sordità, anticipa i tempi dello Spirito. Anche se non conosce la Scrittura e non sa quello che dice il salmo, e cioè che Jhwh “vede l’affanno e il dolore” e che di tutti si prende cura (Sal 9,35), tuttavia ella sa che Dio non può essere indifferente al grido degli umili. Per questo chiede con fede e ostinazione.

Spazi di umanità

La fede apre spazi di umanità, permette alla luce di Dio di rivestire il mondo di gioia. Dio non aspetta altro che di incontrare persone come questa donna per manifestare la sua potenza. Egli non è affatto indifferente, al contrario vuole che nessuno si perda (Mt 18,14). È venuto per tutti e a tutti vuole svelare il suo amore. I profeti, che conoscono bene il cuore di Dio, lo annunciano con certezza: “Perché tu sei sostegno al misero, / sostegno al povero nella sua angoscia, / riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo” (Is 25,4).

Per realizzare tutto questo Dio Padre ha bisogno degli uomini. E come si è servito del suo Figlio, così oggi si serve di noi, ha bisogno delle nostre mani per guarire e accarezzare, dei nostri occhi per sorridere. Quanti bambini sarebbero rimasti abbandonati se non avessero incontrato sulla loro strada persone che, come Madre Teresa di Calcutta, hanno dedicato la vita ai più poveri. La fede non consiste solo nel chiedere ma anche nel fare, nell’essere cioè disponibili per alleviare con ogni mezzo le necessità dei nostri fratelli. È così che la storia diventa più umana e più simile a quello che Dio vuole.


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