
Mettiamoci al lavoro
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 20,1-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Il commento
“Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna” (20,1). In questa parabola Dio appare come un Padrone che vuole a tutti i costi farci lavorare. Il vocabolo greco [ergátēs] indica l’operaio, cioè fa pensare al lavoro manuale. Insomma, Dio cerca gente disposta non solo a faticare e sudare ma anche a soffrire. Quest’immagine è poco rassicurante, anzi contrasta nettamente con le nostre attese. Noi cerchiamo un Dio che accarezza e consola. Gesù invece presenta un Dio che ci carica di responsabilità. La chiamata al lavoro, è accompagnata dalla preoccupazione di vederci disoccupati: “ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati” (20,3); “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?” (20,6). Il vocabolo greco [argós] indica una persona senza occupazione. Questo termine ritorna tre volte. Il messaggio è fin troppo chiaro: Dio non ci vuole disoccupati. È bene ricordare che il lavoro appare anche nel paradiso genesiaco: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15). Nell’umanità che Dio sogna non ci sono scarti, per questo si rivolge a tutti, chiama tutti, vuole coinvolgere tutti. Ai suoi occhi tutti sono potenzialmente abili, tutti hanno qualcosa da dire e da dare e tutti hanno un ruolo nella straordinaria avventura della vita. Anche quelli che la società ha messo ai margini, anche quelli che appaiono come un peso.
Il mondo invita a preoccuparci solo di noi stessi, il Vangelo invece chiede di partecipare in modo responsabile alla storia comune, facendo il possibile e l’impossibile. Tanti battezzati restano sulla soglia, fanno finta di non capire; alcuni fanno il minimo indispensabile, altri presentano il certificato di fragile costituzione per ottenere l’esonero. I santi invece hanno accettato la sfida e hanno scelto di collaborare con Dio per costruire un mondo a Sua immagine. È una scelta impegnativa ma affascinante. Oggi chiediamo la grazia di camminare nel solco dei grandi testimoni della fede.
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