
Domande scomode
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,13-20)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Il commento
“Ma voi, chi dite che io sia?” (16,15). È Gesù che prende l’iniziativa. È Lui che pone ai discepoli le domande decisive. Troppe volte siamo noi ad interrogare il Signore, ad esigere da Lui risposte precise alle nostre necessità. Nel Vangelo, invece, è Lui che ci interpella. Prima di coniugare il verbo “chiedere” dobbiamo impariamo a rispondere alle provocazioni che il Signore continuamente semina nella nostra vita. Il Nazareno non si accontenta di fare un sondaggio, non gli basta sapere quello che dice la gente, agli apostoli chiede una risposta personale. Li guarda negli occhi, uno ad uno, nessuno di loro può sottrarsi o nasconderci.
Questa pagina evangelica interpella anche noi. Per essere concreta, la domanda deve essere posta in termini personali: “Chi sono io, per te?”. È solo un amico, un maestro che insegna con autorità, un uomo potente cui ricorrere nel bisogno. È questo l’interrogativo essenziale, quello da cui dipende tutta la nostra vita. Se non rispondiamo a questa domanda, tutte le altre risposte risultano inevitabilmente false o parziali. Se infatti Cristo è il fondamento dell’universo, la luce che tutto spiega, senza di Lui restiamo al buio, non abbiamo parole per rispondere alle grandi domande del cuore. Solo nella luce di Cristo possiamo comprendere pienamente la nostra identità. Ha scritto Giovanni Paolo II: “L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo – non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere – deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo” (Redemptor hominis, 10). L’uomo non conosce veramente se stesso senza Cristo; non può crescere autenticamente se non accetta Cristo come unico criterio della sua vita. Tra poco i nostri ragazzi tornano sui banchi di scuola. Almeno così speriamo. Noi, invece, siamo sempre alla scuola dell’unico Maestro. Oggi chiediamo la grazia di raccogliere le sue domande, anche quelle più scomode.
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