XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 6 settembre 2020

Il bene incommensurabile della comunione fraterna

L’autentica comunione, che vince ogni interesse umano, è un miracolo così grande da far intravedere la presenza del Risorto. Il secondo miracolo è la fecondità che scaturisce dall’unità: Gesù promette che le loro richieste troveranno ascolto presso Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo (18, 15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

La comunione fraterna è un bene essenziale e, come tutte le cose davvero importanti, un obiettivo difficile da raggiungere. Gesù lo sa bene, per questo ritorna spesso su questo argomento. Oggi troviamo due insegnamenti. Il primo spiega come vivere la comunione nel tempo della crisi, quando cioè il male s’intrufola e alza un muro fatto di incomprensioni, quando l’offesa genera chiusura o alimenta sentimenti negativi, se non di estraneità. La ricetta di Gesù è semplice ed è tutta racchiusa nelle parole iniziali: “Se il tuo fratello”. Il vocabolo e l’aggettivo non lasciano dubbi: anche se ha sbagliato è e resta un fratello, cioè una persona alla quale sono legato non da vincoli di sangue ma dalla comune fede in Dio.

Non possiamo trattare il fratello come se fosse un estraneo, non possiamo lasciarlo fuori dalla porta.

Invece di scagliare contro di lui la pietra del giudizio, Gesù invita ad ammonirlo, da fratello a fratello, con quella carità che nasce dal desiderio del bene. L’ammonimento non è uno schiaffo e neppure una denuncia, è una parola amorevole che cerca di far comprendere gli errori commessi. Un atteggiamento difficile da acquisire, lo so. È molto più facile agire d’istinto, denunciare con acidità o con freddezza. L’ammonimento evangelico nasce dal desiderio di custodire o ritrovare il legame di fraternità che è stato ferito dal male.

Uno stile difficile da attuare perché la carità non ha diritto di cittadinanza. La carità di cui parliamo non è la semplice benevolenza ma l’agape che Dio ha rivelato in Gesù Cristo. La misura di questa carità, piaccia o no, è quella che l’apostolo descrive con queste parole: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). In queste parole c’è tutta la novità della redenzione che mostra la grandezza di Dio e la miseria dell’uomo.

L’uomo non è capace di amare così ma il Vangelo ha aperto orizzonti nuovi e imprevedibili. Per questo l’apostolo può dire ai cristiani di Efeso di amare secondo la misura di Gesù: “camminate nella carità, nel modo in cui [kathōs] anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi” (Ef 5,2). È lo stesso avverbio che troviamo nel Vangelo di Giovanni dove Gesù chiede ai discepoli di amarsi “come” Lui ci ha amati (Gv 3,34). È possibile tutto questo? È una via praticabile?

Sì, se accettiamo di camminare nei sentieri della grazia. Sì, se ci lasciamo costantemente illuminare dalla Parola. Sì, se ci nutriamo di quel Pane che dà la vita.

Se due di voi

La seconda parte dell’insegnamento evangelico mostra la bellezza e la fecondità della comunione fraterna: “se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà” (18,19). È bene precisare che il verbo symphōnéō contiene una bella immagine, letteralmente: con la stessa voce. È una comunione sinfonica, una comunione dove la diversità di suoni si traduce in una splendida armonia. Una condizione non facile, come sappiamo, specie quando ciascuno resta legato ai suoi interessi. La sinfonia nasce dall’avere un punto in comune e soprattutto dall’avere uno stesso direttore d’orchestra.

Gesù parla ai discepoli e dunque non si riferisce semplicemente a quell’unità che nasce da interessi umani o dalla necessaria collaborazione per rispondere alle necessità materiali.

Quante volte, diciamolo sottovoce, il matrimonio nasce e cammina nei solchi della più semplice istintività, cioè risponde ad un bisogno della carne che non a quello dello spirito.

L’unità a cui accenna il Vangelo è tutta un’altra cosa ed è radicata in Gesù, come appare nelle parole successive: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (18,20). È Lui la radice e la meta, è il Maestro che istruisce e prende per mano. non è facile trovare persone che sono riunite non da interessi umani ma nel nome di Gesù.

Dove nasce una vera comunione, lì avvengono miracoli! In primo luogo, Gesù promette la sua presenza. L’autentica comunione, che vince ogni interesse umano, è un miracolo così grande da far intravedere la presenza del Risorto. Il secondo miracolo è la fecondità che scaturisce dall’unità: Gesù promette che le loro richieste troveranno ascolto presso Dio. Una comunione fraterna è un bene incalcolabile e una risorsa indispensabile per la Chiesa. Chiediamo la grazia in questa domenica, di non chiuderci mai nella camera dell’io egoistico ma di imparare a fare tutti i passi necessari per fare della Chiesa e di ogni famiglia la casa della comunione.


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