Separati

di Assunta Scialdone

Restare fedeli nonostante la separazione si può?

9 Settembre 2020

anello

Restare fedeli resistendo anche al richiamo della carne… è davvero possibile? Dove trarre la forza interiore perché questo accada?

“Ci sono anime e intelletti tanto agitati come cavalli imbizzarriti, che nessuno sa placare. Corrono qua e là, sempre scossi. La loro natura è tale, o è Dio che lo permette. Li compatisco molto perché sono persone assetate che vedono l’acqua da lontano, e, quando vogliono dirigervisi, trovano chi ostruisca loro il passo, al principio, a metà e alla fine” (Cammino di perfezione, XIX-876). Così Teresa d’Avila illustra alle sue monache l’importanza di attingere all’acqua viva, quella che il Maestro offre alla donna Samaritana al pozzo di Giacobbe: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).

Cosa produce in chi riceve l’acqua che Gesù offre alla Samaritana? Perché è così importante? Sembrerebbe, dal dialogo tra Gesù e la Samaritana, che il Maestro voglia condurre la donna, che ha una storia affettiva molto tormentata, ad una sorta di auto-comprensione. Per comprendere se stessa e dare una svolta alla sua vita affettiva le è necessaria l’acqua viva. “Nosce te ipsum” che vuol dire “Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei”. Parafrasando la scritta riportata sul tempio di Apollo a Delfi potremmo dire: “Conosci te stesso e conoscerai Dio che abita in te e sarai felice”. Solo dalla conoscenza di sé si può giungere ad una sorta di equilibrio tra i cinque sensi, le emozioni, la volontà e l’intelletto. Attraverso quest’acqua, Gesù intende donare lo Spirito di verità che rivela Cristo nella sua pienezza e, di conseguenza, a ciascuno la conoscenza di sé. In tale processo, una tappa fondamentale, ma poco simpatica ai molti è la solitudine. Nel best seller “Vita con Lloyd” l’autore, in un dialogo immaginario con il suo maggiordomo, afferma di non capire come mai alcune persone abbiano paura della solitudine. Si ha l’impressione che sia perché non colgono la differenza tra il restare soli e lo stare soli. C’è una bella differenza! Sostanziale. Più o meno come quella che c’è tra il dover trovare qualcuno e il poter cercare se stessi. È proprio questa differenza che oggi non si coglie. Sembra che tutti abbiano paura di restare soli, del silenzio e così si affannino alla ricerca di qualcuno. Spesso questa ricerca è fatta con quella superficialità che la fa sfociare non in una relazione stabile, ma in un’avventura momentanea da cui restare profondamente scottati

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Il periodo di vacanze, ormai conclusosi, ad esempio, può essere per i coniugi separati o divorziati quello più duro da vivere. È anche in questo periodo che si avverte la mancanza di una famiglia stabile. Ad aggravare il tutto è la comparsa di quel sentimento di fallimento che diventa sempre più oppressivo. In alcuni, purtroppo, ciò genera un allontanamento “dall’acqua viva”. Queste persone fanno la scelta di vivere questo periodo “godendosi” la vita e lasciandosi trasportare dall’onda delle emozioni spesso puramente carnali. Li vedi, come dice Teresa D’Avila, “agitati come cavalli imbizzarriti, che nessuno sa placare”. Mettono l’intelletto in uno stato di “sospensione razionale” fino a cantare, con occhi persi, in una forma inconsapevole, che “il naufragar m’è dolce in questo mare”. A chi è loro vicino ed amico rispondono che “hanno diritto ad essere felici e a fare quelle esperienze perché non hanno fatto alcun voto di castità”. Quando le onde si placano e il naufrago approda sull’isola solo con se stesso, si accorge dei danni provocati nel proprio intimo ritrovandosi in uno stato di frustrazione profonda e un senso di fallimento più grande di prima.

Questa agitazione ha una spiegazione. San Giovanni Paolo II, nelle catechesi sull’amore umano, infatti, spiega che la solitudine è l’elemento che conduce l’uomo a scoprire non solo la «trascendenza propria della persona», cioè il fatto che egli provenga da Dio, ma anche l’originaria chiamata all’esperienza di quella fondamentale communio personarum che rappresenta la ragion d’essere della distinzione sessuale tra uomo e donna. La solitudine può essere il sintomo del fatto che siamo aperti all’altro sesso. Così si spiega meglio il sentimento d’agitazione che porta a lasciarsi sbattere a destra e a manca dalle onde della passione. L’uomo è chiamato ad essere uno con una donna e viceversa. Per chi ha la vocazione al matrimonio ciò è avvertito con maggiore forza rispetto a coloro che hanno ricevuto un altro tipo di chiamata. Il Papa insiste nel ribadire che non esiste soluzione di continuità tra la scoperta della propria soggettività personale, attraverso l’esperienza del corpo nella solitudine, e il riconoscimento della reciprocità uomo-donna, giacché «indispensabile per questa reciprocità era tutto ciò che di costitutivo fondava la solitudine di ciascuno di essi, e pertanto anche l’autoconoscenza e l’autodeterminazione, ossia la soggettività e la consapevolezza del significato del proprio corpo» (IX, 2). Lo sguardo che Adamo porterà su Eva non è successivo a quello che porta su se stesso (e viceversa). L’unità dei due sguardi richiama la reciprocità tra autodefinizione e relazione ad un altro da sé. Il Papa si preoccuperà di segnalare che la scoperta di sé è inscindibilmente e simultaneamente soggettiva e oggettiva, è un guardar-si e un guardare. Osserverà, ancora, Wojtyła che: «L’uomo, nella sua originaria solitudine, acquista una coscienza personale nel processo di “distinzione” da tutti gli esseri viventi (“animalia”) e nello stesso tempo, in questa solitudine, si apre verso un essere affine a lui e che la Genesi (Gn 2,18 e 20) definisce quale “aiuto che gli è simile”» (IX, 2). Attraverso questo ritrovarsi in sé è possibile costruire una relazione a due, un “Noi coniugale” solido.

Può risultare strano che Teresa abbia la premura di parlare di quest’acqua alle sue monache, ma non è così. La Santa ha a cuore che anche e soprattutto chi ha fatto la scelta della vita monacale possa conoscere profondamente se stesso per costruire una relazione affettiva e solida con lo Sposo, Gesù. Senza quest’acqua anche le monache rischierebbero di “divorziare” da Cristo Sposo ed essere infelici. Quest’acqua, dunque, è molto preziosa in quanto spegne la sete delle cose mondane e futili, che producono solo una gioia apparente e momentanea, per poi lasciare l’anima con l’amaro in bocca. Invece, la vera acqua dona un appagamento interiore duraturo tale da rendere l’anima, dopo aver ritrovato se stessa, libera di scegliere e di amare Dio e, nel caso dei coniugi, anche l’uomo o la donna della propria vita. Teresa afferma che una volta bevuta quest’acqua, essa non spegne totalmente la sete, ma lascia l’anima “con lo stesso spasimo, perché sempre torni a bere di quest’acqua”. Lo spasimo che resta è il desiderio di Dio, il desiderio dell’amore, del bello, della gioia duratura, dell’altro. È il desiderio di essere una sola cosa con il coniuge, per ritrovare se stessi e Dio. 

Questa fonte ha molte proprietà. Teresa ne illustra tre. Innanzitutto essa rinfresca. “Se c’è un grande fuoco, con l’acqua lo si annulla, tranne se di catrame, che allora, si accende ancor di più”. Il fuoco di catrame simboleggia l’amore per Dio, il desiderio di stare con Lui. L’acqua accende ancor di più le vampe del “fuoco di catrame” per Dio. In questo senso rinfresca: ti rimanda a Dio placando l’agitazione. Accende anche le vampe dell’amore passionale dei coniugi, riportandoli continuamente al giorno del “sì” quando ognuno ha consegnato all’altro la propria vita fidandosi ciecamente. L’acqua spegne, quindi, il fuoco delle cose futili che agitano l’anima. L’altra sua proprietà è quella di lavare le cose sporche. “Una volta che la si sia bevuta, di certo lascia l’anima chiara e limpida da ogni colpa”. Senza che la Samaritana ne bevesse, il solo venire a contatto con quest’acqua le fece comprendere i suoi errori nell’aver indirizzato la ricerca della felicità in cose non durature: «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero» (Gv 4, 15-18). In questa donna è racchiusa la sete di ogni essere umano: la ricerca di un tu, come Adamo nel giardino, mentre conosce se stesso. La terza caratteristica di quest’acqua sta nel dissetare e togliere la sete. Per Teresa “La sete è il desiderio di una cosa di cui avvertiamo gran bisogno, quasi che, mancandoci del tutto, veniamo meno. Ben strana l’acqua che, se ci vien meno ci ammazza, e se ci soverchia ci uccide, come si vedono morire molti, affogati”. L’unica acqua da ricercare è Cristo. Anche qui, però, Teresa c’indica un equilibrio tra la sete e l’acqua; tra il desiderio di Cristo e la vita quotidiana su questa terra. Se non viene posto l’equilibrio tra il vivere nel mondo e l’amore per Cristo si rischia di morire “affogati”. Tutto deve essere vissuto in equilibrio secondo il proprio stato di vita, ponendo, però, sempre al primo posto Cristo, acqua viva. Alcune persone, afferma ancora Teresa, iniziano a fare esperienza dell’acqua viva attraverso “le vere lacrime che nascono nella vera orazione, donate dal Re del cielo, [che] aiuta il fuoco ad accendersi ancora di più e lo rende più duraturo”. Proprio come le lacrime del naufrago che, di fronte allo sconquasso presente nella stanza dell’anima, con la grazia di Dio, si rialza ponendosi, questa volta, alla ricerca dell’acqua viva.




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