
Quello che mi pare
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 6,39-42)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Il commento
“Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (6,39). Con un linguaggio di immediata comprensione Gesù ricorda che siamo ciechi. Lo siamo tutti. Se questa è la condizione comune, nessuno può avere la pretesa di guidare gli altri. Non possiamo però dimenticare che tutti abbiamo una responsabilità educativa, alcuni più degli altri. I genitori hanno il dovere di consegnare ai figli le ragioni che rendono bella la vita. Un catechista ha il ministero di accompagnare i fratelli nella fede e, in questa veste, deve orientare e correggere. Un insegnante ha il compito di istruire e comunicare quei valori etici che sostengono l’impalcatura della vita sociale. Accanto a queste diverse responsabilità educative che appartengono ai battezzati, è giusto ricordare lo specifico ministero che appartiene ai presbiteri chiamati ad annunciare la verità del Vangelo e a sostenere il cammino della comunità e dei singoli fratelli. Siamo tutti ciechi ma tutti abbiamo un compito. Non possiamo nasconderci dietro il velo della falsa umiltà. La coscienza dei nostri limiti piuttosto c’impegna a stare nella luce per poter dare a tutti la luce di cui hanno bisogno.
Leggiamo perciò la seconda parte dell’insegnamento: “Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno ben preparato, sarà come il maestro” (6,40). Se vogliamo essere ben preparati e acquisire tutto ciò che è necessario per esercitare un ruolo magisteriale, dobbiamo essere fedeli discepoli di Gesù, parlare e agire come Lui. L’obiettivo è diventare “come il maestro”. Non consegniamo parole nostre ma ci impegniamo a comunicare quella verità che Dio ci ha rivelato attraverso il Figlio. Siamo dunque chiamati ad intervenire con autorità ma dobbiamo farlo come umili discepoli che si lasciano istruire dall’unico Maestro e da Lui ricevono la parola da consegnare ai fratelli. Non è una via facile ma è l’unica che impedisce alla Chiesa di diventare una semplice aggregazione sociale in cui ciascuno dice e fa quello che gli pare.
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