
La salvezza viene dall’alto
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Il commento
“Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo” (3,13). Nelle prime parole di questo Vangelo troviamo una sintesi perfetta della parabola terrena di Gesù: l’evangelista lo presenta come Colui che è “disceso dal Cielo” per poi “salire in Cielo”. Si comprende chiaramente il valore salvifico dell’incarnazione: è disceso dal Cielo per condurre in Cielo tutta l’umanità. Se nessuno è mai saluto al Cielo, se non il Figlio di Dio, vuol dire che solo chi si unisce a Lui può salire in Cielo. La salvezza dell’umanità è nelle mani di Dio. Nel passato questa parola era semplice e chiara, un punto fermo tra le voci dell’umanità. Oggi questa luce è offuscata. Non mi riferisco solo al mondo dei non credenti, anche all’interno della Chiesa si afferma un protagonismo dell’uomo che di fatto si sostituisce a Dio. Il Vangelo ripropone la verità essenziale: se vogliamo restare in vita, dobbiamo innalzare lo sguardo. La salvezza viene dall’alto. Non dai potenti che siedono in alto per farsi ammirare; ma dall’Onnipotente che è sceso in basso per servire. Siamo chiamati a guardare Colui che si è abbassato a tal punto da essere trattato come un malfattore. Sulla croce si svela il mistero di Dio: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono” (Gv 8,28).
La croce diventa la calamita della storia, attira tutti senza costringere nessuno. L’uomo contemporaneo fatica ad alzare lo sguardo, come confessa il re Ezechia: “Sono stanchi i mie occhi di guardare in alto” (Is 38,14). La malattia non solo consuma il suo corpo ma corrode anche la sua speranza. E tuttavia prega il Signore di manifestare la sua benevolenza. La fede insegna ad alzare lo sguardo, come fa il salmista che invita i pellegrini a contemplare da lontano Gerusalemme: “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra” (sal 121, 1-2). È questa la nostra fede ed è questo il ministero affidato a quanti hanno il compito di guidare i fratelli nella fede. Oggi preghiamo per i pastori.
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