Disabilità

Don Carmine Arice: “Al Cottolengo si respira aria di vita”

don Carmine Arice

di Ida GIangrande

Come è sentita la disabilità oggi? Disabili non lo siamo tutti? Abbiamo voluto porre queste e altre domande a chi ha fatto del servizio ai disabili, la sua ragione di vita: don Carmine Arice, superiore generale del Cottolengo.

Don Carmine Arice, per cinque anni direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, oggi superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo e padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Un cammino importante al fianco dei sofferenti, tutto questo in una società che vorrebbe cancellare il dolore selezionando gli embrioni e promuovendo l’eutanasia. Come commenta tutto questo?

Papa Francesco ha scritto nell’Evangelii Gaudium che stiamo vivendo una profonda crisi antropologica che nega il primato dell’uomo. Io sono pienamente d’accordo con questa sua visione delle cose. Da un punto di vista culturale siamo passati da una ontologia della persona secondo la quale un uomo è importante in quante è, a una antropologia funzionalista dove una persona vale per le sue capacità funzionali e dimostra di saper stare a questo mondo in modo produttivo. Nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo aveva scritto: “L’unico e sufficiente titolo necessario per il riconoscimento di un individuo è la partecipazione alla comune umanità”. Dal mio osservatorio privilegiato stiamo vedendo che la visione funzionalista della persona sta guadagnando terreno soprattutto nella mentalità della gente. Fino a che non prenderemo coscienza del fatto che la dignità non è lesa dalla fragilità andremo sempre peggio. L’altro problema e l’aver fatto di ogni desiderio un diritto. L’esempio più calzante è quello delle coppie che vogliono un figlio, desiderio giusto e legittimo, tra i più belli. Ma quando, purtroppo, questo non può avvenire si pretende che il desiderio diventi un diritto, dovesse essere necessario l’utero in affitto o altro. Stessa cosa dicasi per il fine vita. Si desidera che la persona viva il più possibile e talvolta i medici devono difendersi dalle accuse di mancato soccorso; ma quando – per le motivazioni più diverse – si pensa che la vita debba cessare perché ritenuta indegna, allora si deve poter interrompere anche quando l’indicazione terapeutica non fosse indicata. Anche qui il desiderio umano diventa un diritto spesso inumano che svuota di significato la vita in sé. Chi soffre è sempre la parte più debole.  

Leggi anche: La grazia delle persone con disabilità

Il Cottolengo è famoso per avere accolto nel tempo e nella storia persone con disabilità anche molto gravi. Oggi come è la sensibilità sociale verso la disabilità? Sarebbe forse più corretto chiedere se c’è una sensibilità sociale verso la disabilità? 

In 192 anni di Cottolengo abbiamo sperimentato che la morte non la chiede nessuno se è accompagnato e se non è lasciato solo. La mia domanda è: davvero ci sono sempre le condizioni perché la gente possa essere accompagnata nel tratto finale della vita? Perché la gente possa essere aiutata a vivere? Il problema principale, quella che definirei la vera disabilità, è la solitudine di queste persone, in fondo, siamo tutti responsabili. Per cui credo che molto è stato fatto in quanto a sensibilità sociale, ma molto è ancora da fare. Oggi si reagisce se si vede una macchina parcheggiata nel posto riservato ai disabili o se ci sono strutture con barriere architettoniche inadeguate per le persone con disabilità fisiche, e giustamente. Ma ci sono ancora tante forme di disabilità disertate. Mi viene da pensare agli anziani con patologie neurodegenerative e alle persone con disabilità intellettive che non sono supportate in maniera adeguata. Abbiamo aperto da poco in collaborazione con il comune di Firenze una comunità per il Dopo di noi e abbiamo accolto cinque persone con disabilità a causa del disturbo neurologico. Sono piccole risposte di fronte a un grande problema.

Da un punto di vista di pastorale invece si sta facendo tutto ciò che si deve fare per accompagnare le persone con disabilità? 

A mio parere no. Manca una presa di coscienza reale della situazione. Non ci rendiamo conto di quanto la società stia cambiando da un punto di vista demografico, culturale e sociale. Mi verrebbe da chiedere: quanti parroci sono a conoscenza di tutti gli anziani e infermi presenti nella propria parrocchia? Queste persone vengono adeguatamente accompagnate? Quando si scopre che un bambino è affetto da autismo o quando un anziano si ammala di Alzheimer è tutta la famiglia che ne è toccata. Ed è tutta la famiglia che avrebbe bisogno di essere sostenuta, in ogni modo possibile. Spesso invece le famiglie si ritrovano a farsi carico da sole della disabilità. C’è bisogno di una presa di coscienza nuova dal punto di vista ecclesiale ma anche sociale e civile. 

Apprendere che il figlio che stai aspettando è affetto da handicap è come un fulmine a ciel sereno. In base alla sua esperienza cosa sente di dire a queste coppie? 

Innanzitutto le metterei in contatto con le altre coppie che hanno vissuto la stessa esperienza. Qualsiasi cosa possa dire io sarebbe sempre parziale, dato che questo dolore non lo vivo sulla mia pelle. Ma la testimonianza diretta di quanti hanno accolto un figlio con disabilità potrebbe essere utile per far comprendere quale grande risorsa umana sono le persone a prescindere dal loro stato di salute. Dopo direi a queste persone che proverò in tutti i modi a stare loro accanto perché la vita è sempre un dono di Dio.  

Che cosa vuol dire per lei camminare nei corridoi del Cottolengo? 

È una gioia grande. L’esperienza della fragilità è vissuta con una pace strana che non appartiene a questo mondo. Le racconto una storia. Un anziano ospite da noi è stato ricoverato in ospedale e dal suo lettino continuava a chiedere ai figli di essere portato a casa. A un certo punto uno di loro gli ha detto: “Non possiamo portarti a casa”. Lui ha risposto: “Non a casa vostra. Al Cottolengo”. È questo il clima che si respira, l’intimità di una famiglia, la bellezza di una società integrata dove medici, laici, consacrati e sofferenti camminano insieme sorreggendosi l’un l’altro. Ho sempre detto che questa casa celebra la Giornata per la Vita tutti i giorni non solo all’inizio di febbraio e lo credo sul serio. Spesso si rischia di mettere su una pastorale di eventi più che una pastorale di accompagnamento. Ma io qui non corro questo rischio, perché sperimento ogni giorno un canto di lode alla forza della vita. Ultimamente poi sperimento con grande gioia la Divina Provvidenza. Se non avessimo i benefattori dovremmo chiudere per bancarotta. Le persone a convenzione qui dentro sono la metà, per l’altra metà dobbiamo provvedere noi. La Provvidenza manda sempre la persona giusta al momento giusto e così, invece di chiudere, apriamo. Abbiamo aperto un ambulatorio per le persone che hanno difficoltà a fare le prime visite, che non possono pagarsi il necessario per curarsi. Continuiamo a sostenere le persone che stanno con noi da quando sono nate. E poi abbiamo da assicurare 250 pasti al giorno per i senza fissa dimora. Fiore all’occhiello è la scuola sia di primo che di secondo grado, in cui abbiamo il 13% di allievi con disabilità quando la media nazionale per le scuole pubbliche e il 3% e per le scuole private è l’1%. Sono storie pesanti di famiglie non accolte da altre scuole e già il rifiuto in sé pesa sull’anima. Per questo le dicevo, al Cottolengo si respira aria di vita.

Disabili, non lo siamo tutti?

Assolutamente sì, dobbiamo solo trovare la nostra disabilità. La sfida sta nell’aiutare le persone che ne sono affette a tirare fuori tutte le loro abilità che sono tante. Abbiamo allestito una mostra itinerante che si intitola “Con i miei occhi” fatta da bambini, anziani e disabili in cui abbiamo chiesto loro di raccontare la realtà così come la vedono. Non posso dirle cosa ne è venuto fuori, la invito a vederla con i suoi di occhi per conoscere questo mondo nascosto.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.