
Vocazione adulta
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,57-62)
In quel tempo, mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».
Il commento
“Seguimi” (9,59). La parola del Rabbì di Nazaret risuona con autorità, non è condita di motivazioni esplicative, ha la forma di un appello ultimativo, un’offerta non soggetta a condizioni. Prendere o lasciare. È una parola esigente e radicale ma proprio per questo può avere un suo fascino, tanto più quand’è proposta dallo stesso Gesù. Il Vangelo avverte che lo slancio emozionale della risposta non è sufficiente, anzi può diventare una trappola perché copre la realtà con un velo di illusioni che acceca e impedisce di abbracciare la vocazione nella sua concretezza. Chi riempie il cuore di illusioni vive nell’attesa di cose che non arriveranno mai. Dall’illusione alla delusione il passo è breve, anzi brevissimo. Per questo Gesù fin dall’inizio vuole essere estremamente chiaro: “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (9,58), dice ad uno. E ad un altro che chiedeva di rimandare l’appuntamento per assistere i genitori, consegna queste durissime parole: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (9,60). Non possiamo zittire le emozioni ma occorre dare maggiore spazio alle convinzioni. Ed è necessario imparare a vivere la fede nella cornice faticosa del terribile quotidiano.
Teresa di Lisieux entra in monastero all’età di quindici anni, troppo pochi per affrontare un’esperienza così impegnativa. La carta di identità non corrispondeva affatto alla maturazione interiore. Scrive infatti: “ho trovato la vita religiosa tale e quale me l’ero immaginata, nessun sacrificio mi stupì eppure, lei lo sa, Madre diletta, i miei primi passi hanno incontrato più spine che rose!…” (Ms A 69v). Malgrado la giovane età, possiamo dire che era una vocazione adulta! Non è entrata in monastero per sentire il profumo delle rose, al contrario era pronta ad accettare le spine. Tutto questo non ha suscitato turbamento o recriminazioni perché la giovane non cercava altro se non di condividere la croce del Signore. Non è possibile diventare suoi amici se non siamo disposti a portare con Lui e per Lui la sofferenza e l’umiliazione. Oggi chiediamo la grazia di restare fedeli nelle prove della vita, tenendo fisso lo sguardo su Gesù.
Un commento to “Vocazione adulta”
30 Settembre 2020
Mariaconcetta Di LecceSignore sostienici sempre, perchè la quotidianità è assai complessa.