“Per loro era solo un tentativo, ma noi lo consideravamo già nostro figlio”

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(Foto: © Monkey Business Images - Shutterstock.com)

Storia di Maria raccontata da Ida Giangrande

Lo fai anche se non vuoi per non negarti la possibilità di avere una gravidanza e quando entri nella fabbrica della vita, ti accorgi che c’è tutto tranne una cosa: l’anima.

Azoospermia, che cos’è? I medici si lancerebbero in una di quelle spiegazioni tecniche fatte di paroloni importanti, ma in termini semplici vuol dire una sola cosa: impossibilità a generare le vita. Una sentenza impietosa. Chi non vorrebbe avere dei figli? È uno dei primi step a cui pensi già all’indomani del matrimonio. Mio marito la prese malissimo. Si chiuse in un mutismo granitico mentre io, pur essendo addolorata, non riuscivo a non vedere la presenza di un Dio buono che non ti manda qualcosa per distruggerti ma per edificarti. 

Il primo passo fu la domanda di adozione. Tutti ci dicevano che eravamo pazzi, che la Scienza ci metteva a disposizione tante tecniche all’avanguardia e che avevamo il dovere di provarci ad avere un figlio tutto nostro. Come se un bambino adottato non fosse un figlio nostro comunque. Avevamo le idee ben chiare ma a furia di sentire tutti quelli che ci circondavano a un certo punto ci vennero dei dubbi e cominciammo a chiederci: “E se stessimo perdendo solo tempo?”. “Se potessimo davvero avere la gioia di una gravidanza?”. Così decidemmo di sottoporci alla Fivet.

Non avevamo idea di cosa ci aspettasse. Per loro era solo un protocollo, ma per me era mio il corpo bersagliato da siringhe di ormoni. Poi il monitoraggio continuo per vedere quanti ovuli riuscivo a produrre che sarebbero stati prelevati e conservati in laboratorio. Un percorso lungo, stressante e pieno di dubbi. Quando vivi esperienze del genere le speranze sono forti un attimo prima e flebili un attimo dopo. Le ansie ti assalgono. Giorno o notte non fa differenza. Per mio marito fu anche peggio. Dovette sottoporsi ad un intervento ai testicoli. Li avrebbero aperti per prelevare i pochissimi spermatozoi presenti. L’unione tra i due gameti avvenne in laboratorio. “Che problema c’è?” diceva qualcuno “siete sempre voi solo che il letto è stato sostituito da una provetta”. Il problema non c’è mai per quelli che non lo vogliono vedere. Dopo qualche giorno ci chiamarono per impiantare i due embrioni che si erano formati. Uno morì dopo alcune ore e l’altro lo impiantarono. Dicevano proprio così: “Uno è morto, l’altro è vivo” come se stessero parlando dei cagnolini di una cucciolata. Ci sembrava di essere cavie. Avevamo affidato alle conoscenze di ginecologi e ricercatori le nostre speranze, ma loro ci guardavano come guarda la Scienza: con gli occhi incolore, dove c’è tutto, talvolta anche un sorriso, ma non senti l’anima. 

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Eppure volevamo crederci che quella vita continuava a crescere nel mio grembo. Che tutta la freddezza e l’asetticità di quei laboratori presto sarebbe stata solo un ricordo. Restai immobile a letto per 15 giorni e poi in un attimo il sogno si infranse e tornammo a sbattere contro la stessa realtà di sempre. La gravidanza non c’era e non ci sarebbe mai stata. Se prima è doloroso dopo è anche peggio. Ti senti uno straccio vecchio, un corpo su cui è appena passato un tir

Per loro era solo un tentativo tra i milioni di tentativi che vengono fatti ogni giorno, ma quell’embrione era mio figlio e non c’era più. Forse non c’era mai stato e forse anche una parte di me se ne era andata in quell’illusione. Se potessi tornare indietro? Eviterei assolutamente questo percorso così doloroso e illusorio per tante coppie. Con il tempo abbiamo compreso che non dovevamo fabbricarci dei figli, perché erano già nati e ci stavano aspettando dall’altro lato del mondo. Siamo andati in Bulgaria e li abbiamo ritrovati. Siamo felici? Sì, la nostra famiglia oggi è completa. 

Agli sposi che non possono generare la vita naturalmente diciamo con tutto il cuore che Dio chiama le coppie come noi ad una missione più grande. Ci chiede di aprire il cuore a 360° per accogliere la vita di quelle creature abbandonate e non curate da coloro che li hanno generati. In fondo siamo tutti genitori adottivi, anche San Giuseppe e la Vergine lo erano. Accudiamo i figli di Dio che noi abbiamo il dovere di generare prima con il cuore e poi con il corpo. Stiamo lì a perdere tempo, soldi ed energie accanendoci sul nostro corpo con ogni sorta di stimolazione o intervento quando basterebbe guardare oltre la siepe del nostro egoismo per trovare tutti i bambini nel mondo che attendono la loro mamma e il loro papà.




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