Retrouvaille

Perdonare dopo essere stati traditi e riconoscere di avere delle responsabilità è possibile? Decisamente sì…

Coppia

di Giovanni e Roberta Casaroli, di Retrouvaille Italia

Oggi dall’esperienza di Retrouvaille la storia di Matilde e Aldo: “Siamo consapevoli che la nostra aspettativa da fidanzati di avere un matrimonio tutto rose e fiori non significa non avere problemi e contrasti, ma porli di fronte a noi per affrontarli insieme e non lasciare che ci dividano”.

MATILDE

Sapete come si dice: il treno giusto passa una volta sola nella vita. Non so se sia vero, ma di certo quel giorno io ho preso il treno giusto. Ed ho anche scelto il giusto posto a sedere, quasi sentissi che era destinato a me. Durante il viaggio ci siamo guardati in maniera delicata e gentile complice il finestrino che rifletteva i nostri volti. Dettai in modo lento il mio numero di telefono all’amico con cui viaggiavo nella speranza che l’affascinante sconosciuto lo memorizzasse. Quando mi alzai per scendere tra noi solo un timido ciao e nulla più, ma nel mio cuore qualcosa era nato.

ALDO

Su quel treno mi colpirono subito il suo sguardo e il suo sorriso, la determinazione con cui convinse l’amico che l’accompagnava a sedersi nei posti di fronte a me. La osservavo durante il viaggio, con l’aiuto del finestrino che ne rifletteva l’immagine: era una ragazza semplice, non appariscente, eppure la bellezza dei suoi tratti fece subito scattare in me una forte attrazione. I nostri riflessi danzavano in uno scambio di sguardi e sorrisi e la sua energia mi elettrizzava.

MATILDE

Con mia grande sorpresa e tanta eccitazione mi telefonò, si presentò e mi chiese di uscire. Da quel momento siamo stati inseparabili. Mi ero perdutamente innamorata del suo sguardo profondo e al tempo stesso luminoso. Mi piacevano il suo aspetto fisico e la sua originalità, il suo sapermi ascoltare e il modo in cui mi guardava. I suoi occhi mi penetravano, mostrandomi tutto l’entusiasmo che provava quando era con me. Lui era pacato e al tempo stesso energico e vitale. Sapeva tante cose, era riuscito a coinvolgermi nella sua passione per la musica. Aldo era uno spirito libero, mi sembrava che nulla lo condizionasse.

ALDO

Matilde era una ragazza molto diversa da me, ma questo essere diversi mi sembrava ci compensasse. Quando eravamo insieme mi sentivo a mio agio e il tempo diventava infinito; mi sentivo importante, apprezzato e amato. Vedevo nei suoi occhi il suo amore per me ed ero innamorato a tal punto che abbandonai tutte le amicizie per dedicarmi solo a noi due.

MATILDE

Con lui mi aprivo e buttavo fuori il mio passato e le mie ansie, riuscivo a mettere ordine nella mia vita tormentata e condizionata da valori squilibrati o superficiali. Dopo anni di buio e di incertezze, iniziavo a sentirmi amata per quella che ero in realtà e non per un riflesso di me. Non riuscivamo a stare per lungo tempo senza vederci, avevamo bisogno l’uno dell’altra. Avevamo bisogno del contatto fisico, di sentirci vicini, ed è stato per noi naturale decidere di condividere l’appartamento in cui vivevo con le mie compagne di studi. Aldo lavorava di giorno e studiava di sera, io mi prendevo cura di lui ed ero felice e piena d’amore. Dopo cinque anni di questa convivenza studentesca (nel frattempo ci eravamo laureati entrambi) decidemmo di sposarci e di mettere su famiglia a Bologna, lontano da tutti. Mi sentivo una donna realizzata e piena di speranza, ci amavamo e questo sarebbe bastato per superare ogni difficoltà.

ALDO 

Nel ruolo di padre e marito mi sentivo importante e responsabile. Dopo un po’ di anni di matrimonio però le mie priorità cambiarono lentamente. Il lavoro mi assorbiva sempre di più. Sentivo la responsabilità di provvedere alle esigenze economiche della famiglia. Non capivo perché Matilde non comprendeva questo mio impegno e si lamentava di continuo: in fondo non passavo il mio tempo libero al bar o con gli amici in giro per locali notturni. Nel contempo la vita familiare con tre figli divenne sempre più incalzante. Cercavo di rendermi utile cambiando i pannolini ai bambini, facendo qualche lavatrice, passando l’aspirapolvere. Ma non appena le cose fra di noi si mettevano male, mi chiudevo in me stesso e non cercavo minimamente di capire cosa stesse succedendo realmente tra di noi. Era come se fossi tornato a guardare un’immagine riflessa, per evitare la realtà. Quando Matilde litigava con la sua famiglia d’origine, era per me un peso confortarla e sostenerla, pensavo di non dover entrare nei rapporti con i suoi genitori e mi limitavo a dirle di lasciar perdere. Quando litigavamo tra di noi mi chiudevo a riccio, aspettando un’occasione per riconciliarci in modo superficiale, per ricreare un minimo di comunicazione e poi cacciare tutto sotto il tappeto. A un certo punto mi resi conto che mi limitavo a comunicare a Matilde solo fatti, non fantasticavo più insieme a lei sul nostro futuro, erano solo le noie e i problemi quotidiani che ci dicevamo. I miei pensieri e i miei sentimenti più intimi me li tenevo dentro, pensavo che non le interessassero più e che anzi potesse usarli contro di me: avevo perso la fiducia. Mi creavo mondi paralleli e iniziavo a mentirle. Il nostro livello di intimità era divenuto inesistente. Mi vedevo spesso aggredito, e mi sentivo frustrato e intanto continuavo a cercare gratificazione nel lavoro. Mi stavo allontanando, ma non avevo il coraggio di esprimere il mio disagio, non volevo litigare. Mi sentivo solo, senza amici, non mi sentivo apprezzato. Mi convinsi allora che il mio rapporto era al capolinea, e che l’unica via d’uscita era quella di allontanarmi definitivamente. In quel periodo cercai altri occhi che riflettessero la mia felicità e li trovai in una donna incontrata a lavoro, con la quale iniziai una relazione extraconiugale. Quando Matilde lo scoprì, mi sentii come un animale caduto in trappola. Pensai che tornare indietro sarebbe stato impossibile.

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MATILDE

Trovarmi da sola dopo la nascita dei figli non è stato facile, avevo rinunciato alla carriera per dedicarmi alla famiglia e mi sentivo appagata e gratificata, ma con il trascorrere degli anni davanti ad alcuni comportamenti di mio marito mi sentivo turbata e angosciata. Per esempio, pensavo che la sua disponibilità a far fronte alle richieste economiche della sua famiglia d’origine significasse che per lui, i suoi erano più importanti di me e dei nostri figli e che facendo questo ci mancava di rispetto. Quando gli chiedevo di fare qualche lavoretto in casa spesso rimandava e se gli chiedevo di riprendere o rimproverare i figli, lui non lo faceva. Mi sembrava che Aldo non fosse affettuoso come un tempo, che non provasse più nessuna attrazione fisica per me, anche perché la nostra relazione sessuale era inesistente da mesi. Non condividevamo più nulla. I figli crescevano e le loro esigenze mi assorbivano completamente. Mi sentivo stanca e provata, non riuscivo a occuparmi di tutto come avrei voluto. Durante il periodo in cui iniziavo a percepire le difficoltà del mio matrimonio consideravo la mia vita un inferno, priva di soddisfazioni e piena di sacrifici. Cominciai a trattarlo male, a offenderlo e a ferirlo verbalmente. Il nostro rapporto andava spegnendosi giorno dopo giorno. Non lo consultavo più per le decisioni che riguardavano i figli o la casa, convinta che sarebbe stato tempo perso. Mi sembrava che fosse lontano anche dai figli che non li considerasse e che fosse più nervoso. Quando scoprii che chattava su un sito di incontri o quando trovai delle macchie di rossetto sulle camicie, mi accontentai delle sue scuse, volevo fidarmi delle sue parole e andare avanti. Poi un giorno Aldo mi disse che non mi amava più. Fu una pugnalata. Ero impaurita e al tempo stesso volevo combattere per salvare il nostro matrimonio. Dissi ai miei figli che non mi sarei arresa e che avrei fatto quanto potevo per portare il loro padre nuovamente tra noi. Ma poi scoprii che c’era un’altra donna. Il dolore fu atroce e una lacerazione mi attraversò il corpo, facendomi tremare come una foglia sbattuta al vento. Un sentimento di impotenza era scoppiato nel mio cuore, una sensazione di freddo imprigionava il mio corpoMi sentivo offesa, umiliata, tradita come donna nel mio ruolo di madre e di moglie. Tutte le mie certezze e i miei valori furono disintegrati. L’indifferenza di Aldo di fronte al mio dolore e il suo non voler lasciare quella donna mi sconvolsero a tal punto che mi convinsi che solo la morte avrebbe posto fine alle mie sofferenze, ma poi scoprii che dentro di me c’era una forza soprannaturale che mi faceva andare avanti: Gesù. Fin dall’inizio della crisi, mi conduceva per mano, mi suggeriva parole d’amore per mio marito. Improvvisamente in me si fece chiaro il senso profondo del Sacramento che avevamo ricevuto il giorno del nostro matrimonio e al tempo stesso la consapevolezza che se volevamo continuare la nostra relazione avremmo avuto bisogno di aiuto, da soli non potevamo farcela.

ALDO

Fu allora che ricominciai ad accorgermi di quanto lei teneva a me. Di fronte al comportamento di Matilde mi sentii sorpreso, avevo immaginato che mi avrebbe sbattuto fuori di casa, invece mi parlava in modo pacato e mi offriva il suo amore, sembrava accettare le mie richieste assecondando la mia volontà. Non la riconoscevo, era come se qualcun altro parlasse per lei, mi sentivo stravolto e confuso. Tuttavia, nonostante questi suoi gesti di apertura, continuavo ad avere atteggiamenti di orgoglio, restavo distaccato e ostentavo una sicurezza che non era mia. E lei si dimostrava ancora una volta determinata offrendomi, col suo amore, la possibilità di riprovare: iniziai a pensare che prima di gettare via oltre vent’anni della mia vita per andare alla ricerca di qualcosa che probabilmente sarebbe diventato la stessa cosa che avevo ora, forse una chance al mio matrimonio potevo darla. Lo dovevo a Matilde e anche a me. Ero molto scettico sul fatto che potessi davvero ritrovare quella relazione che ci aveva spinto a sposarci, ma volli fare un ultimo tentativo. Chiusi la relazione extraconiugale e accettai la proposta di Matilde di andare a parlare con una coppia di Retrouvaille, per il semplice fatto che mi incuriosiva incontrare una coppia che, come noi, aveva vissuto una crisi profonda e poi era ripartita. Quell’incontro fu l’inizio della presa di coscienza che la mia insoddisfazione veniva dal mio comportamento, non da lei: quello che avevo ricevuto negli ultimi anni da Matilde era il riflesso di quello che io avevo dato a lei. Avrei dovuto preoccuparmi meno di come mi sentivo io e più di come si sentivano lei e i miei figli. La scelta di salire su questo nuovo treno era quella giusta. Dentro di me sentivo il peso delle ferite che avevo inferto a Matilde e ai ragazzi, iniziando finalmente a elaborare la mia colpa. Mi vedevo meschino e irresponsabile. Avrei mai potuto perdonarmi? E Matilde sarebbe riuscita a farlo?

MATILDE

Di fronte all’esperienza di coppie come noi, della loro sofferenza, mi sono sentita capita, amata, ma soprattutto non più sola. Ho trovato il coraggio di credere che anch’io sarei tornata a sorridere e a godere le gioie del mio matrimonio. Durante il percorso ho sentito che Aldo toccava la mia ferita, mi sono commossa e ho aperto il cuore ai suoi sentimenti. Ci siamo messi a nudo come non abbiamo mai fatto, abbiamo guardato la parte più intima di noi stessi donandocela vicendevolmente. Ritrovare la serenità e l’equilibrio non è stato immediato. È stato necessario un lungo percorso personale per superare l’orgoglio e rimarginare le ferite. Ma è stato anche necessario riconoscere la mia parte di responsabilità, smettere di vedere solo le cose dal mio punto di vista e guardare a cosa avevo fatto io per contribuire alla distruzione del mio matrimonio. Sono tornata indietro negli anni e ho visto come mi ero disinteressata di mio marito, come avevo smesso di condividere con lui la mia parte più intima, e nel considerare questo mi sentivo amareggiata e dispiaciuta. Ho visto anche la sofferenza che dovevo avergli procurato tutte le volte che lo avevo aggredito verbalmente, umiliato; tutte le volte che avevo offeso la sua famiglia di origine. Improvvisamente in me si fece chiaro il senso profondo del Sacramento del matrimonio: Aldo non poteva lasciarmi, lui apparteneva a me e io a lui. Ma dentro di me c’era una ferita profonda che continuava a sanguinare. Solo durante il weekend il mio dolore è esploso con tutta la sua forza. Qualcosa dentro di me si stava smuovendo, iniziavo a provare rabbia nei confronti di Aldo per il torto subito. Ero combattuta tra il desiderio di riconciliazione e quello di giustizia, non potevo far finta che non fosse successo nulla. Mi resi conto che quello di cui avevo bisogno era che Aldo comprendesse la mia ferita, la toccasse con mano e mi chiedesse perdono. Dopo il weekend di Retrouvaille, Aldo me l’ha chiesto. In quel momento ho riconosciuto la sua sincerità, ho compreso il suo profondo dolore per avermi ferito e gli ho chiesto perdono a mia volta per tutto il male che gli ho fatto. Il suo pianto, il suo bisogno di avermi sempre vicino, mi hanno ridato fiducia. Lui era diventato quello determinato: quando entravo in crisi e la rabbia divampava in me, Aldo era lì, saldo come una roccia, a voler ricostruire il nostro amore. Questo mi ha aiutato a vincere le mie paure e sono tornata a sentirmi protetta. Aver perdonato Aldo non significa aver eliminato il mio dolore, vuol dire aver deciso di non rivangare il passato. Sono consapevole che il perdono è un processo lungo. Quando i ricordi del tradimento ripiombano all’improvviso nella mia mente, quando quel senso di inadeguatezza e inferiorità riemerge al ricordo di quell’indecisione di Aldo tra me e l’altra, rinnovo la decisione di perdonare la persona che Dio ha voluto al mio fianco. Il perdono mi fa guardare avanti, guardare a come siamo ora, forti e consapevoli di voler continuare a camminare insieme amandoci, accogliendo le nostre diversità e le nostre debolezze come doni preziosi che ci uniscono per sempre.

ALDO

Pian piano ho capito che il matrimonio è un’unione che richiede un impegno quotidiano che non è solo l’impegno materiale, ma la capacità di mettersi in ascolto dell’altro, di confermarlo, di accoglierlo nella sua essenza più intima. Durante il cammino di guarigione le ferite di Matilde erano ancora aperte e ci sono stati momenti di grande fatica, in cui mi rivedevo pronto a fare le valigie e andarmene, ma poi subentravano quelle parole: impegno, unione indissolubile, Dio. Di fronte a questo ritrovavo la forza di restare e rimettermi di nuovo a nudo per ricominciare a costruire. Ho capito che impegnarsi significa affrontare i problemi che nascono tra di noi, senza temere la sofferenza. Quando colgo in Matilde un cenno di tristezza o un istinto di rabbia nei miei confronti, non mi ritraggo, anzi mi avvicino e le chiedo di condividere i suoi sentimenti, qualsiasi essi siano. Cerco di capire quali sono i miei atteggiamenti che generano in lei sentimenti spiacevoli e mi adopero per cercare di modificarli. Non è sempre facile, ma la cosa che mi trascina è sentire dentro di me una voce che mi dice voglio e non devo, ora sono consapevole che solo con la decisione di impegnarsi, di amare, di dare fiducia, di perdonare e attraverso il dialogo profondo possiamo raggiungere la piena intimità e tendere a diventare ciò per cui Dio ci ha unito e cioè un solo spirito e una sola carne.

MATILDE

L’impegno che mi sono assunta con il matrimonio non è né trappola né collante, ma una decisione totale e liberante. L’impegno per tutta la vita, la promessa fatta davanti a Dio è ciò che mi ha sostenuto nel momento della crisi. Nella disperazione ho sperimentato la forza del Sacramento. Aver deciso di impegnarmi mi fa sentire forte e sicura nel perseverare a rendere migliore ogni giorno il mio matrimonio. Tutto questo ha lavorato dentro di me e ora alzarmi dalla sedia quando Aldo rientra e accoglierlo con un abbraccio e un bacio è per me una grande gioia. Oggi siamo consapevoli che la nostra aspettativa da fidanzati di avere un matrimonio tutto rose e fiori non significa non avere problemi e contrasti, ma porli di fronte a noi per affrontarli insieme e non lasciare che ci dividano. È passato tanto tempo da quel giorno in cui ci incontrammo sul treno e ne abbiamo passate tante, ma dopo tutte le avversità che abbiamo attraversato, quello sguardo riflesso nel finestrino è diventato un guardarsi direttamente e profondamente negli occhi per condividere il nostro nuovo progetto di vita.




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