3 ottobre 2020

3 Ottobre 2020

Carlo Acutis, la santità oltre la devozione

di Giovanna Abbagnara

“Non io ma Dio” è una frase del prossimo beato Carlo Acutis. Vale la pena ricordarla in queste ore che precedono la sua beatificazione che avverrà ad Assisi il 10 ottobre e subito dopo l’esposizione del suo corpo alla venerazione avvenuta il 1 ottobre.

Carlo nella sua breve e intensa vita – è morto all’età di quindici anni per una leucemia fulminante – ha voluto essere solo un’eco dell’amore di Dio. Non voleva di certo attirare l’attenzione su di sé né tantomeno sollevare una disputa intorno al suo corpo intatto o incorrotto. «I santi non sono modellini perfetti, ma persone “attraversate” da Dio», ha detto papa Francesco in un Angelus qualche tempo fa. Mi piace questa definizione perché pone l’accento su Dio. È Lui il centro. I santi ci conducono a Dio.

Una certa fede miracolistica, emotiva spesso ha la prevalenza e ci distrae dall’essenziale. È necessario guardare il corpo di Carlo, con gli occhi della fede. Quel corpo, esposto nel Santuario della Spogliazione di Assisi, luogo dove il giovane ha desiderato essere sepolto, trattato con amore per essere presentato alla venerazione dei fedeli, ci ricorda che “Carlo è stato fedele all’amore di Dio. Ha scelto Dio come il tutto della sua vita. Un proposito breve come un tweet, ma bruciante come un fuoco. Non io, ma Dio”, ha detto Mons. Sorrentino, vescovo di Assisi nella celebrazione del 1 ottobre.

Quel corpo vestito in jeans, le scarpe da ginnastica e una felpa, con un abbigliamento molto simile a quello dei nostri giovani, ci ricorda l’urgenza della fede, la necessità della testimonianza, il fuoco dell’evangelizzazione. Ancora una volta Dio confonde i sapienti e i grandi con la logica dell’umiltà e della piccolezza.

Carlo è stato un piccolo del Vangelo. Ha compreso fin dalla tenera età, aveva solo sette anni quando ha chiesto e ottenuto di poter ricevere Gesù Eucaristia, che ciò che conta per un cristiano è restare uniti a Cristo, al suo Corpo. Questo tratto lo rende molto simile a quello del Santo di Assisi, Francesco, che Carlo amava e cercava di imitare. Li unisce certamente l’amore per l’Eucaristia. Francesco si estasiava di fronte al mistero del Figlio di Dio che ogni giorno scende dal suo ‘trono regale’ sui nostri poveri altari. Il giovane Carlo faceva di tutto per non mancare alla Messa e all’Adorazione quotidiana. Ideò una mostra sui ‘miracoli eucaristici’. Diceva dell’Eucaristia che era la sua autostrada per il cielo. Altro elemento comune è l’amore per i poveri: se Francesco di Assisi li mise al centro del suo cuore, Carlo, per quanto possibile alla sua età, non si limitò a fare delle elemosine, ma considerò i poveri dei veri amici. Al suo funerale se ne presentarono tanti e la stessa mamma se ne meravigliò. Carlo li aveva amati e serviti senza metterlo in mostra.

L’amore per la Vergine è un altro tratto molto bello di questa figura di santità. Voglio ricordare innanzitutto che Carlo è nato il 13 maggio 1991, giorno in cui la Chiesa ricorda la Madonna di Fatima. Verso i cinque anni, durante un pellegrinaggio a Pompei, si consacra alla Madonna del Rosario e da allora inizia con i suoi parenti a recitarlo regolarmente. Si interessa con amore delle Apparizioni a Lourdes e a Fatima ed è qui che desidera recarsi ardentemente. E nel 2006, pochi mesi prima di morire, i genitori lo accontentano. Lì resta colpito dalla testimonianza dei tre pastorelli.  Poco dopo aver compiuto questo pellegrinaggio, Carlo si ammala e dietro a quella che appariva in un primo momento come una banalissima influenza si nasconde una leucemia fulminante. Qualche giorno prima di essere ricoverato in ospedale afferma risoluto: “Offro tutte le sofferenze che dovrò patire al Signore per il Papa e per la Chiesa… e per andare diritto in cielo”. Dopo appena tre giorni dal ricovero, Carlo muore, stroncato da un’emorragia cerebrale. È il 12 ottobre 2006.

I primi a beneficiare della testimonianza di questo giovane sono i genitori. In un’intervista di qualche anno fa, Antonia Salzano, la mamma, ha detto: “Fino alla nascita di Carlo ero entrata in chiesa solo per comunione, cresima e matrimonio. Con questo bambino [Carlo] che mi interpellava continuamente portandomi in chiesa e domandandomi di Gesù, ho deciso di chiedere consiglio. Avevo un’amica che mi indirizzò ad un sacerdote di Bologna veramente speciale che mi ha seguito per oltre venti anni. Su suo consiglio iniziai dei corsi alla facoltà teologica di Milano e cominciai così ad approfondire la mia fede. Carlo è stato per me un piccolo salvatore come anche per mio marito che aveva una fede tiepida, non vissuta, non maturata rispetto all’educazione religiosa ricevuta dai genitori. Noi siamo stati trascinati da Carlo e il nostro domestico di casta sacerdotale bramina, che è la più importante nell’induismo, con l’esempio di Carlo si è fatto battezzare. Carlo contagiava tutti”.

Lasciamoci contagiare anche noi da questa fede. Andiamo oltre le emozioni perché l’amore di Dio si faccia concreto in noi e attraverso di noi.


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