
Prendersi cura
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,25-37)
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Il commento
“Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione” (10,33). Il viaggio di quell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico, sembra terminare miseramente, non la forza di arrivare alla meta. È stato derubato e ferito dai briganti ma è condannato anche dall’indifferenza di quanti passano, vedono e vanno oltre. È un uomo solo, abbandonato da tutti. La sua storia sembra tragicamente segnata. Fino a quando un samaritano non si ferma e lo guarda con compassione. Non lo guarda come un sociologo che si limita a registrare il male e il disagio crescente ma come un fratello che si sente chiamato in causa. Per questo, non solo si avvicina ma si fa carico di quella situazione. Sceglie di intervenire, pagando di persona, come leggiamo nella recente Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede: “Investe su di lui, non soltanto i soldi che ha, ma anche quelli che non ha e che spera di guadagnare a Gerico, promettendo che pagherà al suo ritorno” (Samaritanus bonus, I). Questa Lettera è dedicata alla “cura delle persone in fasi critiche e terminali della vita” ma il criterio che mette in evidenza può e deve essere applicato ad ogni fase della vita e ad ogni situazione. Giovanni Paolo II sintetizzava così: “si tratta di prendersi cura di tutta la vita e della vita di tutti” (Evangelium vitae, 87). Non sempre abbiamo la cura adeguata ma sempre dobbiamo prenderci cura.
Quante persone sole, abbandonate ai bordi della strada. Nessuno si ferma, tutti hanno fretta. Oggi preghiamo con le parole di Chiara Lubich ((1920-2088): “Signore, dammi tutti i soli… Ho sentito nel mio cuore la passione che invade il tuo per tutto l’abbandono in cui nuota il mondo intero. Amo ogni essere ammalato e solo. Chi consola il loro pianto? Chi compiange la loro morte lenta? E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato? Dammi, mio Dio, d’essere nel mondo il sacramento tangibile del tuo amore: d’essere le braccia tue, che stringono a sé e consumano in amore tutta la solitudine del mondo”. I santi aprono orizzonti che sconfinano nell’utopia ma grazie a loro impariamo a sognare “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13).
Nessun commento per “Prendersi cura”