14 ottobre 2020

14 Ottobre 2020

Non si vive di sola paura

di Giovanna Abbagnara

È tornata. La paura ricomincia a serpeggiare dopo un tempo in cui avevamo cominciato a conviverci. Sono trascorsi otto mesi dall’esplosione della pandemia e a me sembra che siamo tornati indietro al disorientamento dei primi giorni. Almeno stando a quanto dicono i giornali la situazione epidemiologica è grave e in crescendo ma cerchiamo di ragionare un po’. Il graduale, progressivo incremento di contagiati registrati in Italia negli ultimi giorni ha avuto l’effetto di proiettare il nostro Paese in una dimensione pericolosa dominata da un sentimento che si trova a metà tra la paura e il panico. Paura perché, nella testa di ciascuno di noi, il numero di contagiati tende a essere identificato sempre con il numero di malati. E panico perché, nella testa di ciascuno di noi, la progressione dei contagiati tende a essere identificata come un indizio capace di riportare le lancette dell’Italia alla stagione del lockdown. Essere attenti, giudiziosi e vogliosi di combattere ogni forma di libertarismo è condizione necessaria per affrontare i prossimi mesi senza isterie. Ma dobbiamo essere coscienti anche che il modo di gestire la situazione spesso fa acqua da tutte le parti. E a pagarne maggiormente le spese sono le famiglie italiane. Alle famiglie si chiede molto, ma quanto veramente chi amministra è pronto a sovvenire alle sue necessità? Qual è il piano dei prossimi mesi? Io non l’ho ancora ben capito. Vedo ancora che ci si ferma al particolare e non all’essenziale. Faccio un esempio.

Una mia parente è positiva con sintomi. Vive e lavora a Milano. Ha contratto il virus sul posto di lavoro da un suo collega. Sono 15 in ufficio. Lei è la responsabile del team e dunque più esposta al rischio perché ha contatti con ogni singolo collaboratore. Mia cugina è sposata e ha due figli che frequentano le scuole superiori. All’esito positivo del suo tampone è scattato il protocollo sanitario: quarantena a casa insieme al suo nucleo familiare fino alla negatività. Richiesta dell’elenco dei contatti avvenuti 48 ore prima dei primi sintomi e isolamento fiduciario degli stessi. Intanto in quelle 48 ore è chiaro che il marito ha continuato il suo lavoro in una grande azienda e i figli hanno cominciato la scuola. È trascorsa una settimana, l’Asl competente chiama il marito per il tampone, i figli no. Non si sa come e quando saranno anch’essi sottoposti al test. Intanto la catena dei contagi ha indisturbatamente fatto il suo corso. Questo caso tipico si deve moltiplicare per 15. Quindici persone con famiglia e relativi figli.

Un altro esempio che riguarda sempre il contesto familiare. Accanto alla mia redazione c’è una scuola materna e primaria statale. Varcato il cancello, i piccoli e disorientati alunni entrano come soldatini ognuno nella propria cella opportunamente accompagnati e guidati dalle insegnanti che si trasformano in attenti ausiliari del traffico. Fuori dal cancello, poiché la scuola si trova sulla strada e non ha atri, i genitori si ammassano come tifosi allo stadio. Sarebbe divertente se non fosse così drammatica la scena che si para ogni giorno davanti ai miei occhi. Mesi passati ad organizzare i banchi singoli – che non arrivano in Campania ancora – e poi ti ritrovi l’assembramento fuori al cancello.

C’è qualcosa che non va. Queste famiglie sono le prime ad essere esposte al rischio contagio e le prime ad essere lasciate sole nel caso il virus visitasse le proprie case con differenze sostanziali da nucleo a nucleo. Ora da un punto di vista economico, se si ha all’interno della famiglia un pensionato o un dipendente statale si può tirare un sospiro di sollievo. Lo stipendio è assicurato. Se si ha un’attività commerciale o un’azienda di ristorazione molto probabilmente si sarà costretti a licenziare dipendenti e a non poter pagare i fornitori a fine mese. I sussidi forse arriveranno sì ma quando ormai è troppo tardi.

La domanda è lecita: come abbiamo fatto nonostante tutti gli avvertimenti a ritornare a questo stato di cose? Nell’affrontare il virus oltre alla determinazione della cura, da somministrare tempestivamente per evitare che la situazione degeneri bisognava agire con più attenzione. Il liberi tutti dell’estate ci ha fatto ri-precipitare in questa situazione. Forse si poteva riprendere con più gradualità? E oggi la Sanità pubblica così preoccupata di liberalizzare le pillole abortive e la fecondazione eterologa è pronta a sovvenire a tutte le necessità dei contribuenti italiani? Ieri leggevo una dichiarazione di Carlo Palermo, segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri italiani, secondo cui “qualora in Italia dovesse esserci un aumento esponenziale dei casi come sta avvenendo in alcuni paesi come la Francia, che ha ormai circa 10 mila contagi al giorno, il sistema ospedaliero, nel nostro paese, avrebbe una tenuta di non oltre due mesi”. Due mesi significa non arrivare a Natale. Insomma prudenza, rispetto, attenzione, positività da parte nostra ma un po’ di lucidità da parte della classe politica dirigente. Abbiamo bisogno di concretezza senza allarmismi inutili.


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