15 ottobre 2020

15 Ottobre 2020

Cara Michela Murgia abbassa la voce…

di Giovanna Abbagnara

Era il 10 gennaio del 1975, il noto settimanale l’Espresso, mise in copertina una donna incinta messa in croce. Erano i primi sussulti di quella corrente abortista che di lì a pochi anni avrebbe portato all’approvazione della legge 194 e garantito il “diritto” della donna a sbarazzarsi del frutto del suo grembo. Sono passati 35 anni e la stessa immagine corredata da un articolo di Michela Murgia, nota per le sue posizioni abortiste, riemerge sulla medesima rivista. All’epoca, il numero fu sequestrato per “vilipendio” alla religione. Oggi nessuno oserebbe neanche lontanamente contrastare questa immagine offensiva della fede cattolica – vorrei vedere se fosse stato offeso l’islam come se la cavavano i signori – anzi viene rievocata a difesa di quanti si sono stracciati le vesti di fronte ai cimiteri dei bambini abortiti. Luoghi emersi agli onori della cronaca solo perché si invoca da più parti la loro cancellazione nonché l’anonimato assoluto. Se permettete da donna e da cattolica desidero dire due parole alla onorata collega.

Cara Michela,
quelli che tu chiami “luoghi di tumulazione dei feti abortiti”, “cimitero dei feti” che per te rappresentano solo un “immenso atto di accusa contro le donne”, sono al contrario un piccolo gesto di misericordia, un primo e ultimo gesto di amore nei confronti di una vita piccola e indifesa che evidentemente interessa a qualcuno.

Questi bambini, o “feti” come li vuoi chiamare per sfuggire ad una verità scientifica, lasciali fuori dalle tue battaglie ideologiche. Non calpestare il suolo di questi luoghi urlando tutto il tuo sdegno e la tua rabbia. Almeno loro lasciali stare. Fermati davanti alla pietà che alcuni uomini di buona volontà hanno avuto nei confronti di questi corpicini ormai inanimati. Hai mai guardato in faccia un feto abortito alla 14 o 16 settimana di gestazione?

Secondo te cosa dovremmo fare come comunità civile di quelli che tu chiami “prodotti abortivi”? Dovremmo credere che esiste solo una strada possibile che è quella dei rifiuti speciali e dell’inceneritore? E perché? Solo per evitare di guardare in faccia la realtà e sapere che in qualche luogo qualcuno ha avuto la tenerezza di dare a quel bambino una piccola ma degna sepoltura?

Tu parli di luoghi che sono uno “scandalo legale”, luoghi che “nascono per punire le donne messe in croce una per una sulla tomba delle maternità che non hanno voluto o potuto assumersi”, luoghi che sono il “trionfo dello stigma”, l’eterno memento del “senso di colpa”. Tutto questo perché c’è una data e un nome. Mi rendo conto che quando si parla di morte nella società post-moderna si tocca un nervo scoperto. La conseguenza è che stiamo smarrendo la dignità del corpo dei defunti che invece da sempre ha contraddistinto una società civile. Occultare, dimenticare, far scomparire le prove è il segno di una libertà solo apparente. Preoccupati invece di aiutare quelle donne – a mio parere tutte, nessuna esclusa – a dare un nome e a convivere con le ferite che l’aborto causa nella sua psiche e nel suo cuore. Ferite che sono state scientificamente identificate con la sindrome del post-aborto. Se ti stanno a cuore veramente le donne, comincia da qui.

Infine tu proponi di sostituire il nome delle donne con le motivazioni che le hanno condotte alla scelta abortiva: “Posti insufficienti negli asili e nidi pubblici”, “Inesistenti politiche per la conciliazione familiare”, “Dislivelli di congedo parentale per i padri”, “Differenza di stipendio tra i generi”, “Timore della condanna sociale”, “Paura di non essere all’altezza dell’idea sociale di maternità”… etc. Benissimo. Sono con te. Ci sono responsabilità politiche e sociali ma non è vero che questi luoghi sono solo la rappresentazione plastica delle responsabilità politiche e sociali che ogni giorno portano molte di loro a pensare di non avere altra scelta che l’aborto! Nessuno, se non le associazioni pro-life, alzano il dito per aiutare queste donne. Nessuno contribuisce a “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” (art. 2 comma D della 194/78). Nessuno, se non i volontari per la vita. E nessuno guarda questi piccoli nel grembo materno se non quegli uomini che silenziosamente si recano negli ospedali, prelevano i corpicini di questi bambini e danno loro una sepoltura.

Le storture di questa procedura se accertate verranno punite, come è giusto che sia ma per il resto, per favore, togli il piede da questo suolo e abbassa la voce. C’è un figlio che non vivrà mai la sua vita. Quella che a me e te è stata invece garantita dalle nostre madri. Mi sembra un buon motivo per silenziare.


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