XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 18 ottobre 2020

Date a Dio ciò che appartiene a Dio

Gesù non demonizza l’autorità politica, accetta l’esistenza del potere imperiale ma nello stesso tempo, e con determinazione, ricorda che non possiamo e non dobbiamo sottrarre a Dio quello che gli appartiene. Insomma, afferma con chiarezza che la sovranità di Dio precede e supera ogni altra autorità umana.

Dal Vangelo secondo Matteo (22, 15-21)

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

Mestiere pericoloso

La questione del tributo a Cesare è la prima di una serie di dispute con i farisei che riguardano alcuni temi della dottrina: la resurrezione dei morti (22,23-33), il primo comandamento (22,34-40). Tre argomenti molto importanti: il rapporto con l’autorità pubblica, la fede nell’eternità, la scelta etica fondamentale. L’evangelista sottolinea la straordinaria lucidità con cui Gesù risponde alle domande, la sua capacità di interpretare la Scrittura in modo fedele e creativo. Il suo insegnamento lascia senza parole i suoi interlocutori, non sanno cosa rispondere e rimangono meravigliati della sua intelligenza (Mt 22,22). Lo stupore però non diventa accoglienza, al contrario: la dottrina insegnata dal Rabbì di Nazaret contribuisce ad allargare la distanza con i severi custodi dell’ortodossia, i quali non possono assolutamente ammettere che qualcuno possa modificare l’interpretazione rabbinica della Parola che Dio ha consegnato a Israele. Anche per questo decidono di eliminarlo. Insegnare la verità è un mestiere pericoloso. Storia di ieri ma non facciamoci illusioni: anche oggi è così!

Una trappola

Sono i farisei che prendono l’iniziativa, sono loro che pongono le domande. Questa volta vanno con gli erodiani. Non lo fanno per amore della verità e neppure per confrontarsi seriamente con Gesù. Il racconto è introdotto da un’annotazione che spiega il motivo recondito e l’intenzione che muove i farisei:

“Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio
per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi” (22,15)

Cogliere in fallo vuol dire intrappolare, mettere un laccio, come si fa con gli uccelli. Vogliono soffocare quella voce che parla di Dio con accenti nuovi e presenta un nuovo modo di vivere la fede. È triste notare che i farisei si presentano come interlocutori credibili, pongono domande serie, affrontano argomenti significativi. In realtà sono mossi da un’intenzione iniqua, sperano che Gesù possa dire cose che permettono di accusarlo come eretico o rivoluzionario. In ogni caso come una persona non affidabile. Questo atteggiamento, purtroppo, accompagna e inquina la vita sociale ed ecclesiale.

L’opinione

Dopo un’ampia premessa, carica di un’insopportabile ipocrisia, i farisei e gli erodiani vanno al dunque, pongono la domanda che, secondo loro, può incastrare Gesù. Dopo averlo apertamente lodato come un maestro che “insegna la via di Dio secondo verità” (22,16), gli chiedono più prosaicamente di dire il suo parere su una questione che allora era molto dibattuta: “di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare [dare] il tributo a Cesare?” (22,17). Chiedono a Lui di uscire allo scoperto ma si guardano bene dal manifestare quello che loro pensano su questo tema delicato e complesso.

Chiedono semplicemente un’opinione, come nei talk show della nostra generazione. La verità non interessa, vogliono soltanto sapere dove si posiziona il Nazareno. Non è un dettaglio marginale, anzi mi pare di cogliere un elemento sempre attuale:

la verità è come il sole che splende e dà vita;
le opinioni sono come foglie portate dal vento.

Eppure la questione che pongono è tremendamente importante, chiama in causa la fede d’Israele, è un problema che divide le diverse anime della società israelitica: gli zeloti sono per principio contrari al tributo perché è un riconoscimento della sottomissione politica ai romani, i farisei sono contrari ma di fatto accettano di pagarlo, gli erodiani invece non si oppongono al pagamento dell’imposta. Occorre anche aggiungere che quel tributo non trovava alcun gradimento nel popolo, anche se non aveva la forza di ribellarsi.

La risposta

I farisei pensavano di averlo messo alle corde e invece Gesù offre una risposta che ancora oggi lascia meravigliati per la straordinaria lucidità con cui risolve la questione:

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare
e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21).

Quest’espressione evangelica è diventata giustamente famosa, una delle più conosciute. Viene usata spesso e in diversi contesti come un detto proverbiale: restituire a Cesare quello che gli appartiene vuol dire dare a ciascuno ciò che è suo.

Gesù non demonizza l’autorità politica, rifiuta perciò la scelta oltranzista degli zeloti, che fanno della lotta contro l’occupazione romana la premessa necessaria per instaurare il Regno di Dio. Accetta l’esistenza del potere imperiale ma nello stesso tempo, e con determinazione, ricorda che non possiamo e non dobbiamo sottrarre a Dio quello che gli appartiene. Insomma, afferma con chiarezza che la sovranità di Dio precede e supera ogni altra autorità umana.

Cesare e Dio

È ovvio che Cesare e Dio non possono essere posti sullo stesso piano, una tale equiparazione sarebbe contraria ad ogni logica autenticamente religiosa, tanto più a quella ebraica che vede Dio come l’autorità assoluta. Per questo, alcuni interpreti propongono di tradurre in maniera più conforme al senso dell’espressione evangelica:

“Rendete a Cesare quel che è di Cesare,
ma a Dio quel che è di Dio”.

Tra la prima e la seconda parte della frase non c’è una continuità ma contrapposizione. Gesù non può mettere sullo stesso piano Dio e l’imperatore. Dopo aver riconosciuto all’autorità politica lo spazio che gli è proprio, ricorda che nessuno deve sopprimere o sminuire l’autorità di Dio. Il potere degli uomini è dunque oggettivamente limitato dai doveri nei confronti di Dio.

L’unico Signore

È dunque lecito pagare il tributo a Cesare ma non è lecito servire l’imperatore come se fosse il Signore. Questa Parola è in piena sintonia con quella profetica che abbiamo proclamato nella prima lettura:

Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri” (Is 45, 5-6).

Alla luce di questa Parola è utile rileggere la nostra vita e chiederci se davvero siamo disposti a dare a Dio il primo posto,

se facciamo tutto a partire da Lui
e se in tutto cerchiamo ciò che è gradito a Dio.

Dobbiamo fare i conti con la nostra fragilità e chissà quante volte dobbiamo riconoscere che non abbiamo custodito fedelmente le intenzioni di partenza. Il buon Dio conosce i nostri limiti ma Lui guarda al cuore e vede se davvero lo abbiamo scelto come unico Signore.

Dio, primo servito

Cinque anni fa, il 18 ottobre 2015, Papa Francesco ha proclamato santi Luigi e Zelia Martin, la prima coppia di sposi ad essere canonizzata. Una storia semplice e luminosa che il mondo ha potuto conoscere grazie all’ultima dei loro nove figli, quella Teresa di Gesù Bambino che affascina il mondo con la semplicità della sua testimonianza e della sua dottrina.

Luigi e Zelia hanno accolto la sfida della fede e si sono incamminati senza chiedere sconti e senza mai voltarsi indietro. Hanno avuto il coraggio di perseverare fino alla fine, per questo oggi risplendono come testimoni luminosi di quella santità nascosta nelle pieghe del quotidiano che tutti i battezzati sono chiamati a vivere. La loro vita è profondamente segnata da una convinzione che Luigi amava sintetizzare in queste parole che, secoli prima, avevano accompagnato l’eroica testimonianza di santa Giovanna D’arco (1412-1431): “Dio prima servito”. Non è uno slogan da sbandierare ma una regola alla quale Luigi e Zelia ispirano tutta la loro esistenza coniugale e familiare in ogni suo ambito.

Nella luce di questa testimonianza chiediamo la grazia di vivere la fede full time. Lo facciamo con questa preghiera, tratta dalla liturgia delle Ore:

“Signore Dio, re del cielo e della terra,
guida, santifica e custodisci il nostro corpo e il nostro spirito,
sentimenti, parole e opere,
nell’amore della tua legge,
a servizio della tua volontà,
perché oggi e sempre con il tuo aiuto
procediamo sicuri nella via della salvezza.
Amen


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