XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 25 ottobre 2020

Il primo comandamento

Se Dio scompare anche l’uomo perde consistenza. Senza Dio l’uomo non è capace di amare o, quanto meno, non può vivere l’amore nella sua pienezza. La Scrittura annuncia che l’uomo è stato creato per amare, ad immagine di Dio. Ma solo Dio può dare all’uomo quell’energia nuova che cambia la vicenda umana.

Dal Vangelo secondo Matteo (22, 34-40)

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

È una delle pagine evangeliche più conosciute ma, proprio per questo, la Parola rischia di essere accolta come qualcosa di ovvio, quasi scontato. Accade così anche nella vita quotidiana riguardo a cose e persone. In questo modo il Vangelo non appare più come una sfida, una provocazione che sempre nuovamente ci interpella e ci scomoda. Ogni volta che apriamo la Bibbia dobbiamo chiedere anche la grazia di aprire il cuore. Ed è quello che facciamo anche ora, invocando lo Spirito.

Il frutto maturo

Qual è il grande comandamento?” (22,36). La domanda è posta da uno che conosce bene la Legge mosaica e sa come interpretarla. Stando all’evangelista, questo anonimo interlocutore non desidera confrontarsi in modo leale con il Rabbì di Nazaret, vuole piuttosto tendergli una trappola (22,35). Non ci sono le condizioni del dialogo. Gesù lo sa bene eppure non se ne va sbattendo la porta, come avremmo fatto noi ma al tempo stesso non rinuncia a comunicare la verità di Dio. Quel suo restare è la testimonianza che rende credibile la parola che Egli annuncia.

Conosciamo bene la risposta di Gesù ma è sempre utile far risuonare la parola del Vangelo: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente […] Amerai il tuo prossimo come te stesso” (22,37.39). Risuona per due volte il verbo amare [in greco agapáō]. Non è un verbo qualsiasi. Nella Scrittura è questo il nome di Dio (1Gv 4,8). L’amore che Gesù consegna ai discepoli come un comandamento non consiste semplicemente nel compiere gesti concreti di affetto e benevolenza verso il prossimo. L’orizzonte evangelico è molto più ampio, anzi appare quasi irraggiungibile: amare significa manifestare il volto di Dio e comunicare la tenerezza di Dio.

Si tratta di un amore esigente e impegnativo che supera di gran lunga la nostra capacità. Scegliere di amare è facile, perseverare nell’amore è difficile, talvolta appare quasi impossibile. Malgrado le buone intenzioni, siamo costretti ad ammettere che non siamo capaci di amare, non siamo sempre desiderosi di accogliere il prossimo né siamo disposti a perdonarlo. Forse per questo la formulazione del duplice comandamento dell’amore è stata posta dall’evangelista nelle battute conclusive del ministero pubblico. Mi pare di poter cogliere questo messaggio implicito: quello che possiamo considerare il punto di partenza dell’etica, in realtà è il punto di arrivo di un’esperienza di fede, il frutto maturo di un lungo cammino.

All’inizio del Vangelo troviamo un altro comandamento: “Venite dietro di me” (4,19), dice ai primi discepoli; e più tardi a Matteo: “Seguimi” (9,9). Chi si lascia provocare da queste parole e accetta la sfida, chi si pone alla sequela di Gesù e lo sceglie come il Maestro, chi riconosce in Lui il Signore della vita, impara a conoscere che Dio è un Padre amorevole che si prende cura di noi e riversa in noi il suo amore e ci rende capaci di non vivere più per noi stessi, chiusi nella prigione dell’io, ma di vivere come fratelli per fare della storia una casa comune. Se ci riconosciamo figli di Dio, impariamo ad essere fratelli. La grammatica dell’amore nasce dalla fede.

A partire da Dio

I comandamenti sono due anche se Gesù li unisce così profondamente da far capire che non c’è l’uno se viene a mancare l’altro. Questa reciprocità ovviamente dobbiamo leggerla da entrambi i lati:

    – se manca Dio, l’amore del prossimo inevitabilmente s’indebolisce o addirittura scompare;
    – se manca l’amore prossimo, vuol dire che l’amore di Dio non ha preso dimora in noi.

Questa premessa è necessaria per rispettare la novità e l’originalità della proposta evangelica. Ma con la stessa fedeltà dobbiamo affermare che la reciprocità dei due comandamenti non va letta nella logica dell’assoluta parità, come se fossero uguali o avessero il medesimo valore. A me pare piuttosto che, ancora una volta, anche in questo caso, fedele al suo mandato Gesù proclama il primato di Dio e chiede di vivere ogni cosa a partire da Lui. Non a caso si parla di un primo e di un secondo comandamento e di quest’ultimo si dice che è “simile” al primo (22,39).

Le parole di Gesù sono tratte dal libro del Deuteronomio. Matteo cita solo il precetto antico, Marco invece (12,39) riporta anche la premessa che rappresenta l’inizio solenne dello Shemà da cui è tratto il primo comandamento: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo” (Dt 6, 4). Non si tratta di una semplice introduzione, queste parole contengono la verità essenziale, quella che sorregge tutto il resto.

Se Dio è l’unico,
Lui solo va amato e nessuno può prendere il suo posto.

Neppure l’amore per lo sposo o per la sposa, neppure quello ancora più viscerale per i figli. Ogni altro amore sarebbe una forma di idolatria. Per questo il testo biblico, quello del Deuteronomio ripreso dai vangeli, non dice solo che bisogna amare Dio ma aggiunge: “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (22,37). Con questo triplice riferimento la Scrittura sottolinea che tutta la persona è chiamata ad amare Dio e con tutte le dimensioni del suo essere. San Francesco di Sales afferma: “Se sapessi che anche una fibra solo del mio cuore non palpita di amore per il Signore, non esisterei un istante a strapparmela”.

Questo amore nasce dalla coscienza che Dio è l’Unico e che la nostra vita dipende da Lui. Generati da Dio volgiamo a Lui lo sguardo nella certezza che solo questa relazione custodisce in noi la vita. In realtà l’amore di Dio per noi e in noi precede il nostro amore per Lui, come scrive l’apostolo Giovanni (1Gv 4,10), anzi rappresenta l’oggettivo fondamento di ogni altro amore. Per questo, scrive Benedetto XVI, “l’amore non è più solo un comandamento ma la risposta al dono dell’amore” (Deus Caritas est,1). L’uomo ama perché è amato, è capace di amare nella misura in cui accoglie l’amore di Dio, è come un pozzo che non possiede nulla di proprio e può donare solo l’acqua che riceve.

Dobbiamo avere il coraggio di ribadire questo annuncio: se Dio scompare anche l’uomo perde consistenza. Senza Dio l’uomo non è capace di amare o, quanto meno, non può vivere l’amore nella sua pienezza. La Scrittura annuncia che l’uomo è stato creato per amare, ad immagine di Dio. Ma solo Dio può dare all’uomo quell’energia nuova che cambia la vicenda umana. Solo Lui può dare l’agape che umanizza l’eros e inverte la tendenza egoistica.

Il primo

La parola evangelica annuncia che amare Dio è “il grande e primo comandamento” (22,38). È questo il punto di partenza, cioè la fonte e la forma dell’amore.

L’amore per il prossimo e tutte le opere di carità sono l’espressione coerente di una vita di fede: chi accoglie Dio diviene capace di amare gratuitamente ad immagine di Colui che per noi ha dato la vita. Amare i fratelli vuol dire comunicare anche agli altri quell’amore che noi per primi abbiamo ricevuto senza nostro merito. Trascurare il prossimo significa negare Dio. L’annuncio del Vangelo passa inevitabilmente per i sentieri della carità. Per questo i discepoli di Gesù non restano in disparte ma partecipano attivamente alla vita dell’umanità e sono pronti a farsi carico delle sofferenze dei fratelli.

L’impegno missionario nasce dall’amore per Dio, dal desiderio di farlo conoscere e amare. È questo il fuoco che ci brucia dentro. Il motivo che spinge tanti cristiani a partire per terre lontane non è un vago sentimento filantropico, né solo il desiderio di lottare contro le ingiustizie del mondo, ma la viva ed intima coscienza che senza Dio il mondo è più povero. La fede suscita la coscienza missionaria, ci sentiamo chiamati e inviati. È nostro dovere farlo conoscere ed amare. Chi è stato generato dall’amore è chiamato a generare nell’amore.

Da questo tutto dipende

Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (22,40). La conclusione diventa una provocazione: se tutto dipende da questi due comandamenti, chiediamo la grazia di accoglierli non come un precetto gravoso ma come un dono che riveste di gioia la nostra e ci rende capace di diventare sorgente di gioia. Lo chiediamo alla Vergine Maria che ha fatto dell’eccomi, a Dio e al prossimo, la luce quotidiana.


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