CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Chi nutre il fanatismo islamico? Il prof ucciso e i media assenti

26 Ottobre 2020

Nel mondo politico e mediatico che conta, l’islam è zona protetta e tutto quello che riguarda questo mondo è descritto con particolare benevolenza. Se non fosse così perché la tragedia di Samuel Paty, insegnante brutalmente ucciso in Francia, è stata largamente ignorata?

Samuel Paty aveva 47 anni, sposato e padre di un bambino di 5 anni, insegnava storia e geografia in un Liceo a Conflans-Sainte-Honorine, 35 km a nord di Parigi. È stato brutalmente ucciso da un giovane di 18 anni, un immigrato ceceno arrivato in Francia con la sua famiglia nel 2008. Un ragazzo che ha studiato nelle scuole de la Republique ma che evidentemente non ha mai accolto i valori del Paese che gli ha dato accoglienza. È rimasto saldamente ancorato ad una legge religiosa che prevede la morte per coloro che osano offendere l’islam. Sento già l’obiezione di chi dice che non si tratta della legge coranica ma di un’interpretazione fanatica delle correnti più tradizionaliste. Non mi pare: i Paesi che adottano la sharia (Pakistan, Afghanistan, Arabia saudita…) prevedono la pena di morte.

Il prof in questione, infatti, nel corso di una lezione sulla libertà di pensiero aveva mostrato ai suoi studenti le ormai famose caricature pubblicate nel 2015 dal settimanale satirico Charlie Hebdo. Quelle che sono costate la vita a decine di persone, in Francia e all’estero. C’è da dire che, consapevole della delicatezza del tema, aveva chiesto ai ragazzi di fede musulmana di uscire dall’aula. Tutto questo non è bastato per frenare l’ondata di protesta delle famiglie degli studenti, alimentata sui social dai più accesi militanti islamisti, personaggi ben noti alle forze dell’ordine che godono tuttavia della più ampia libertà di pensiero e di azione. Tutti indignati contro Samuel Pathy.

Una madre musulmana accusa formalmente l’insegnante di discriminazione nei confronti della figlia, invitata ad uscire dall’aula. La preside della scuola chiede a Pathy di incontrare la donna per presentare le sue scuse. Le autorità scolastiche richiamano il prof al rispetto delle regole della neutralità. Viene predisposta la visita di un ispettore per valutare se la proposta educativa era stata correttamente presentata. Insomma, il povero insegnante si è trovato completamente isolato. Facile dire oggi “Je suis Samuel”. Quando la casa bruciava, tutti sono rimasti a guardare. E quand’è ormai crollata, tutti sono bravi a manifestare solidarietà. La polizia non ha pensato di garantire la sicurezza dell’uomo, malgrado le numerose minacce di morte apparse sui social. Evidentemente pensavano che tutto sarebbe finito in una bolla di sapone. Hanno sbagliato i conti, eppure dovrebbero sapere (almeno loro) che l’immigrazione incontrollata ha alimentato il disagio sociale e la crescita di un fanatismo islamico che appare sempre più difficile frenare.

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Inutile dire che la decapitazione del prof è stata salutata come un atto dovuto e l’autore del gesto, ucciso dalla polizia, come un vero eroe. Tutto questo, sia detto tra parentesi, appare tranquillamente sui social, quegli stessi che si ergono a censori fin troppo rigorosi quando vengono toccate altre categorie. Qualcuno dirà che si tratta dei soliti estremisti, pochi rispetto alla maggioranza della comunità musulmana. Forse è così. Ma è bene sapere che quest’intolleranza trova sempre più spazio nella società francese e fa sempre più proseliti. E tutto questo finisce inevitabilmente per suscitare negli insegnanti una ragionevole paura.

Stando ad un’inchiesta di due anni fa, il 40 per cento dei prof denuncia di aver subito durissime contestazioni da parte di studenti musulmani e delle loro famiglie. Chi insegna storia non può avanzare critiche all’islam, anzi il solo fatto di parlare della battaglia di Poitiers del 732 che ha fermato l’avanzata musulmana in Europa, viene registrato e respinto come una lettura confessionale. La situazione è più grave di quella che può apparire ad una prima lettura. In Francia un numero sempre maggior di insegnanti ha scelto di non affrontare determinati argomenti. Una sorta di autocensura.

Quello che è accaduto in Francia è un fatto gravissimo che non riguarda solo il Paese transalpino ma tutta l’Europa, anche se alcuni fanno finta di guardare da un’altra parte. Non seguo attentamente stampa e tv ma non mi pare che questa tragedia abbia avuto la doverosa risonanza e abbia suscitato un dibattito leale. Colpa del Covid che monopolizza ogni discussione o forse, più semplicemente, reticenza ad affrontare una questione che mette in luce un nervo scoperto dell’islam, quello della violenza. Gli episodi sono tanti e tali, in ogni parte del mondo, e tutti gravissimi, da non lasciare dubbi sul fatto che c’è un doppio filo tra la professione di fede islamica e l’uso della violenza. Un filo che pochi denunciano con chiarezza e ancora meno quelli che concretamente s’impegnano a spezzarlo. D’altra parte, è facile notare che nel mondo politico e mediatico che conta, l’islam è zona protetta e tutto quello che riguarda questo mondo è descritto con particolare benevolenza. Non sono perciò stupito che questo dramma sia rimasto confinato nella cronaca e subito dimenticato.

Non mi pare di aver letto dichiarazioni esplicite da parte delle autorità religiose. Anche il Papa ha preferito tacere. Evidentemente, malgrado la Dichiarazione di Abu Dhabi (2019), non ha trovato una sponda nei suoi interlocutori di fede islamica. Eppure, questa tragedia poteva essere l’occasione propizia per una dichiarazione comune, insieme agli altri capi religiosi, per ribadire che la fede in Dio non può in alcun modo convivere con la violenza. Un messaggio chiaro e impegnativo rivolto ai fedeli di tutte le religioni; ma anche alle istituzioni pubbliche che hanno il compito di vigilare perché i sentimenti religiosi, che appartengono alla coscienza più intima e sacra della persona, non siano offesi da nessuno e per nessun motivo. Un’occasione persa. Almeno così appare ad uno sguardo umano. La fede tuttavia ci insegna a sperare. Dove c’è una croce c’è un Dio che perdona. Da Lui riparte la storia, malgrado tutto.




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2 risposte su “Chi nutre il fanatismo islamico? Il prof ucciso e i media assenti”

“Un ragazzo che ha studiato nelle scuole de la Republique ma che evidentemente non ha mai accolto i valori del Paese che gli ha dato accoglienza”.

Ne siamo proprio sicuri?
Mi pare che qualche anno fa andasse molto di moda in Francia mozzare le teste.

“questa tragedia poteva essere l’occasione propizia per una dichiarazione comune, insieme agli altri capi religiosi, per ribadire che la fede in Dio non può in alcun modo convivere con la violenza”.

Forse no, perché “se uno offende mia madre, gli do un pugno” (Papa Francesco dopo la strage al settimanale Charlie Hebdo)

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