Scuola

di Piero Del Bene, insegnante

Il più grande insegnamento del Covid? Non siamo isole…

28 Ottobre 2020

covid

Avete mai sentito parlare dell’assegno punizione? In genere vuol dire che la maggioranza degli innocenti paga le colpe dei pochi colpevoli. Succede spesso in classe e, forse è questo che sta accadendo anche fuori dall’aula.

“Prof. però questa cosa non mi sembra giusta! Non posso accettarla!”. Quanti colleghi si sono sentiti dire dai genitori queste parole o simili, durante i colloqui con le famiglie? La cosa “ingiusta” è presto detta. Succede qualche volta in classe che il comportamento sbagliato di qualche alunno vada a penalizzare tutti gli altri che invece mantengono un atteggiamento corretto. Gli altri studenti pagano le conseguenze di comportamenti fuori dalle regole in due modi, di solito. Innanzitutto non svolgono le lezioni serenamente oppure non le svolgono affatto a causa delle intemperanze di qualche compagno. La beffa, però, quella che non si può sopportare, spesso è costituita dal cosiddetto “assegno punizione”, un assegno che di solito è corposo e comminato ai “cattivi” ma anche ai “buoni”. È questa la cosa ingiusta che lamentano i genitori citati all’inizio. “Perché mio figlio che si comporta bene deve pagare per il comportamento sbagliato di un altro? Non è giusto!”. E come dare torto a questi genitori? Effettivamente non è giusto. Gli innocenti pagano per le colpe dei colpevoli: ai nostri occhi, cresciuti guardando l’immagine della giustizia con la bilancia in mano, questo è proprio un peso sproporzionato. Ingiusto. Non viene un altro aggettivo.

Mi tornano in mente in questo caso e in molti simili in questi giorni di diffusione galoppante del Covid-19. Sì, perché spesso lo spaccato di vita che osservi dalla cattedra, la porzione di mondo che si percepisce da quel mobile fermo, può diventare una metafora pregnante della società nella quale viviamo. Ribadisco: punire gli innocenti è sbagliato. Ma questa pratica ancora abbastanza diffusa a scuola ci può insegnare qualcosa nel tempo del coronavirus. Dopo aver passato l’intera estate, con alcuni colleghi, a sistemare puzzle di banchi per garantire il distanziamento sociale e quindi la scuola in presenza; dopo aver svolto, qui in Campania, circa un mese di lezione dal vivo, ringraziando il Signore per ogni singolo giorno strappato alla DAD e avendo cura di ottemperare ad ogni minuzia prevista dal CTS e dalle ordinanze dei governanti; dopo aver proceduto a tutte le operazioni di contact tracing (tracciamento dei contatti) dei due casi presentatisi a scuola, tutti nati fuori dalla scuola, dopo tutto ciò ed altro ancora è arrivata la mannaia della didattica a distanza per ogni ordine ad eccezione della scuola dell’infanzia. I docenti e molte famiglie l’hanno vissuta come una grande sconfitta, aggravata dalla considerazione che le cause andassero cercate fuori dalla scuola (movida, feste, compleanni, attività sportive fai-da-te non protette). In fondo, ci si diceva tra di noi, dopo aver visto il lassismo dei comportamenti fuori dalla scuola, il banco distanziato e controllato resta il posto più sicuro dove potessero capitare i ragazzi. 

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Così non è stato, a leggere tra le righe delle ordinanze. A noi resta l’amara sensazione che la scuola, che tanto ha fatto per essere giusta, paghi per i comportamenti sbagliati di alcuni fuori dalla scuola. Un vero e proprio “assegno punizione” comminato all’intero comparto. È accaduto qualcosa di simile a ciò che succede ai residenti in alcune provincie ai quali tocca pagare le assicurazioni in quantità maggiore rispetto agli altri a causa dei giochi “non puliti” fatti da chi mette in scena incidenti inesistenti al solo scopo di ricavarne soldi dalle assicurazioni. In questo caso “l’assegno punizione” è il maggiore costo dell’assicurazione che paghiamo tutti. Si potrebbe continuare con molti esempi ancora. Il nocciolo della questione resta il fatto che la nostra società vive questa profonda ingiustizia per cui gli onesti pagano per le scelte dei disonesti e tutti paghiamo per gli errori di altri così come gli altri pagano per gli errori nostri. Quest’ultima è una considerazione sempre meno evidente ai più, chiusi come siamo nel proprio particolare. 

C’è un certo individualismo che è penetrato nell’animo di molti giovani e che rischia di essere rafforzato dalla situazione che viviamo. Qualche giorno fa, per fare un esempio, parlavo con una diciassettenne che, quasi trionfante, affermava di non fidarsi proprio di nessuno e lo ripeteva con convinzione assoluta. Mi volli prendere il tempo per provare a farla riflettere su alcune situazioni. Le feci notare che la sua vita e la nostra sono in realtà un perenne atto di fiducia verso gli altri. Le feci l’esempio dell’autista del pullman che la mattina l’accompagna a scuola: lei e i suoi si fidano di lui, implicitamente, anche senza conoscerlo. E quando semplicemente entra in un bar a fare colazione, chi le assicura che il barman non abbia alterato il contenuto del cappuccino? E poi entra a scuola: chi le assicura che nessuno abbia manie pericolose? Continuai con molti casi. Il mio non voleva essere terrorismo psicologico, anche se mi accorsi che i suoi occhi si facevano preoccupati. Parlammo a lungo. Si rasserenò. Ma ora aveva una visione diversa della realtà che si può riassumere in poche parole: non siamo isole. La nostra società è una fitta rete di relazioni implicite ed esplicite e le scelte di ognuno ricadono con più o meno importanza nelle vite degli altri. Arrivammo a dire che le colpe degli altri non sono solo degli altri, ma che forse c’è un principio di correità che andrebbe investigato. Il Covid-19, a saper leggere con sapienza gli eventi, ci sta ricordando proprio questo: ma siamo sicuri che l’impennata dei contagi sia dovuta solo alla movida? E se anche fosse così, abbiamo fatto qualcosa per dire ai nostri piccoli pezzi di movida, ai nostri giovani che si assembrano, che forse sarebbe stato il caso di “stare un poco alla larga” che è l’altro modo di dire distanziamento?

Io non so se i colleghi degli “assegni punizione” abbiano a mente questi principi quando li somministrano. Restano sbagliati anche perché fanno passare l’idea che il compito a casa sia una punizione, che è ancora peggio. Se però questa pratica dovesse servire a farci capire che siamo tutti, in piccola parte, responsabili anche degli altri, forse non arrivano invano. Certo, ci sarebbe molto da parlare per aiutare a capire tale principio. In un tempo in cui le contrapposizioni stanno crescendo a dismisura, nel tempo della litigiosità fatta programma di vita, delle manifestazioni per chiedere solidarietà che finiscono col distruggere (è il caso delle manifestazioni delle ultime notti nelle grandi città), nel tempo dei mezzi di comunicazione contrari a prescindere alle proposte degli altri che la pensano diversamente, nel tempo dei “leoni da tastiera”, gli haters (nome che è tutto un programma), forse dalla scuola può arrivare questo piccolo passo nella direzione di una ricostruzione della società, parola che, quasi per ironia della sorte, ha nel proprio significato il rimando ad un accordo tra parti diverse.




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