
Il test rapido
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,37-40)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Il commento
“Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (6,40). L’annuncio dell’eternità è una luce che, grazie al Vangelo, risplende nella storia anche se, è doveroso notarlo, questa parola oggi appare meno luminosa. Nel mondo domina la paura della morte, nei credenti il desiderio dell’eternità. Due visioni opposte, anzi radicalmente incompatibili. Da una parte la morte appare come l’estremo orizzonte, il crepuscolo di ogni speranza; dall’altra viene attesa come il nuovo e definito inizio, il dies natalis, l’alba di un giorno che non conosce tramonto. Coltivare l’attesa dell’eterna beatitudine non significa desiderare la morte né genera comportamenti che favoriscono una conclusione ravvicinata dell’esistenza. L’eternità è piuttosto il punto omega, una luce che riscatta la banalità del vivere, un annuncio che il male non è l’ultima parola perché tutti saranno sottoposti all’insindacabile giudizio di Dio. Non è una delle tante speranze presenti nel cuore dell’uomo ma è la speranza che sostiene tutte le altre e dà ragione all’impegno e alla fatica. Senza l’eternità l’uomo è abbandonato a se stesso, l’esistenza appare come un labirinto senza uscite, una sorte di caos illuminato solamente dagli affetti o dai piaceri.
Eternità e fede camminano insieme. Il modo con cui guardiamo la morte rappresenta il banco di prova, il test rapido per verificare con sufficiente certezza se crediamo in Dio o nell’uomo. Di tutto questo si parla poco, troppo poco. Altri temi campeggiano sulle pagine dei giornali e, purtroppo, anche nella predicazione. Si parla di morte solo quando siamo costretti dagli eventi, anche in questo caso lo facciamo con imbarazzo, come di qualcosa di cui dobbiamo liberarci subito. Si parla dei morti e non della morte, si contano i morti ma non facciamo mai i conti con la morte. “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”: questo grido, che risuona nel cuore di ogni celebrazione eucaristica, deve diventare la certezza che dà una particolare impronta a tutta la nostra vita.
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