2 novembre 2020

2 Novembre 2020

Portiamo i bambini al cimitero

di Giovanna Abbagnara

Ieri, dopo la Messa di Tutti i Santi, siamo andati al cimitero della nostra città. Era aperto. Il nostro sindaco ha pensato che con qualche misura di vigilanza in più si poteva assicurare l’accesso a questo luogo santo nonostante l’emergenza sanitaria.

Siamo nel cuore dell’autunno, ci avviamo verso l’inverno. Il verde rigoglioso degli alberi è sostituito dal colore giallognolo delle foglie secche. Pochi fiori resistono in questi tempi, la luce del giorno lascia presto lo spazio alle tenebre della sera. Eppure, nonostante la bassa affluenza, entrando nel cimitero non ho potuto fare a meno di notare il tripudio dei fiori sulle tombe, le luci delle candele accese. Qui ci sono i nostri cari ed è dunque un luogo caro. Un luogo che più di tutti esprime e risponde alla grande domanda sul senso della vita. Per molti di noi là sottoterra ci sono le nostre radici, il padre, la madre, quanti ci hanno preceduti e ci hanno trasmesso la vita, la fede cristiana e quell’eredità culturale, quel tessuto di valori su cui, pur tra molte contraddizioni, cerchiamo di fondare il nostro vivere quotidiano.

Ho l’impressione però che negli ultimi decenni si eviti di andare al cimitero. Anche tra i cristiani, con quelle mode che spesso attraversano la storia dell’uomo, si sentono serpeggiare quelle frasi per cui: “Non bisogna ricordarsi dei defunti una volta all’anno”, oppure, “Si va al cimitero il 2 novembre solo per farsi vedere dagli altri”. Insomma, frasi che avranno anche il loro perché pedagogico ma che alla fine finiscono per dare un motivo in più alla gente per non andare mai. Perdiamo così il valore dei gesti e la possibilità soprattutto di annunciare ai bambini e ai più giovani il valore della morte e dunque della vita.

Ricordo quand’ero piccola la prima volta che ho fatto l’esperienza personale con sorella morte. Avevo sei anni. Mio nonno paterno da alcuni mesi era venuto a vivere con noi. Mio padre, il suo unico figlio, aveva pensato bene di accudirlo più da vicino stando in casa con noi. Quella mattina in cui mio nonno ci lasciò, i miei genitori ci chiesero di restare nella nostra stanzetta per un po’. Io e miei fratelli più piccoli restammo in attesa che qualcuno ci chiamasse e ci spiegasse qualcosa. Poi siamo stati vestiti di tutto punto e siamo andati a salutare mio nonno nella stanza dove riposava. Era vestito con l’abito della festa, la giacca a righe, la camicia e la cravatta. Era bello mio nonno. Alto e slanciato come un attore, gli orecchi grandi e le mani sempre piene di caramelle per noi nipoti. Ricordo di non essermi affatto impaurita a quella vista. Tutt’altro. Da quel giorno ogni domenica, papà ci portava al cimitero da nonno. Mi ricordo perfettamente la tomba dove riposava. La sua foto, i fiori sempre freschi. Trascorrevamo del tempo lì. Guardavamo le tombe di altri, leggevamo i loro nomi e facevamo i conti degli anni della loro vita. La morte mi sembrava un passaggio naturale. Ero certa, guardando la foto di mio nonno, che un giorno ci saremmo rivisti per ridere e divertirci insieme mentre mia nonna borbottava perché ci dava le caramelle prima di pranzo.

Per grazia di Dio non solo lo penso ancora oggi, lo credo. Ecco perché è così importante portare i bambini al cimitero. Permettere loro fin da piccoli di entrare in relazione con il senso del nostro vivere. Oggi si elude questa domanda fondamentale. Nell’educazione non c’è più spazio né occasione per parlare ai figli di questo passaggio. Eppure il cristiano sa che il 2 novembre, questo giorno solennissimo è un annuncio di vita, porta in sé anche la speranza della preghiera per i nostri defunti. Tutti. Anche per quelli che hanno vissuto un’esistenza segnata dal male, dai vizi, dalla cattiveria, dall’errore perché siano perdonati e possano entrare nella vita senza fine. Insegnare ai bambini a pregare per i nostri defunti, significa annunciare loro che esiste una vita oltre quella terrena. Significa educarli al legame tra terra e Cielo.

Recuperiamo dunque il valore dei gesti per rafforzare il senso di ciò in cui crediamo.


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