3 novembre 2020

3 Novembre 2020

Oltre il coronavirus: riusciremo ancora ad aiutare i nostri bambini in Burkina?

di Giovanna Abbagnara

Seduti nelle nostre comode poltrone, magari con una copertina di lana e una buona tisana in mano ogni giorno commentiamo il bollettino regionale e nazionale dei nuovi contagi e dei relativi morti da coronavirus. La pandemia ha rivoluzionato ogni cosa, messo in subbuglio i pensieri, attirato su di sé tutte le nostre energie. Non abbiamo altro da fare che pensare di salvarci, organizzare le riserve alimentari, fare i conti dei soldi che ci restano per sopravvivere. Ci lamentiamo che non possiamo andare in palestra o al ristorante, o a fare la ceretta. Ci lamentiamo di tutto. Privati della nostra libertà, ci sentiamo come animali in gabbia.

Non sappiamo da dove ricominciare, invochiamo solo e continuamente un ritorno alla normalità. Tutto giusto. Doveroso. Massimo rispetto per chi è stato colpito e soprattutto per chi ha perso un familiare. Nello stesso tempo però, sono anche arrabbiata perché non siamo in grado di alzare lo sguardo e vedere al di là del nostro naso. Siamo così concentrati a difenderci da tutti e da tutto che questa pandemia ci ha reso ancora più ripiegati su noi stessi. Questa notte non sono riuscita a prendere sonno. Mi giravo e rigiravo nel letto chiedendomi un perché, immaginando la paura di quelle 54 persone che in Etiopia sono state massacrate in un attacco terroristico avvenuto domenica sera nella regione di Oromia.

I sopravvissuti che hanno parlato con l’emittente affiliata alla regione di Amhara, hanno detto che è stato preso di mira il gruppo etnico degli Amhara. Il gruppo armato, composto da circa 60 persone, ha trascinato fuori dalle proprie case e riunito 200 nel cortile della scuola e poi ha iniziato a sparare contro di loro. 54 persone sono morte: donne, bambini, anziani. La violenza non guarda in faccia nessuno. La scuola e 120 case sono state bruciate.

Stessa violenza si è consumata pochi giorni prima in Congo nella tormentata provincia orientale del Nord Kivu. A riferirlo è stato il vescovo di Butembo-Beni, monsignor Sikuli Paluku Melchisedech, il quale ha precisato che venerdì scorso, 30 ottobre, alle 8 del mattino, un gruppo di armati, di cui non è chiara l’identità, ha messo a ferro e fuoco un intero quartiere all’estrema periferia di Butembo. Nel corso del raid, che è durato circa due ore, hanno perso la vita 19 persone; tra loro figura anche un catechista di nome Richard Kisusi.

In Nigeria, all’inizio di ottobre era diventato virale sul web, l’hashtag #EndSars dopo che le unità anti-rapina avevano ucciso un passante nella cittadina di Undelli. È stata quella la goccia che ha fatto traboccare il vaso per la popolazione nigeriana, assuefatta alle violenze da parte delle forze dell’ordine. Creato dal governo per controllare la criminalità urbana, il dipartimento Sars si è rivelato un gruppo eccessivamente propenso agli arresti e al deliberato uso della violenza. Coloro deputati a difendere la popolazione, sono essi stessi dispensatori di paura e violenze.

Tutto questo avviene nell’indifferenza della comunità internazionale. I più poveri continuano a morire per colpa di poteri più o meno occulti, interessati allo sfruttamento delle immense risorse minerarie o semplicemente per l’accaparrarsi del potere politico. I Paesi europei e gli Stati uniti che sono i principali donatori e dispensatori di aiuti internazionali ora sono troppo occupati a risolvere l’emergenza sanitaria. Le associazioni e le congregazioni religiose che raccoglievano fondi per i Paesi più poveri del Sud del mondo hanno le mani legate in questo momento perché non riescono ad organizzare eventi di solidarietà.

Anche noi come Punto Famiglia non sappiamo se per Natale riusciremo a raccogliere la piccola somma che assicurava la merenda e il riso per un anno ad un asilo con 64 bambini nel villaggio di Koupela in Africa, la Maison de Rose.  Tutto questo mi impedisce di dormire sonni tranquilli. Qualcuno direbbe: “Adesso dobbiamo risolvere il coronavirus poi potremmo fare bene il bene”. Nel frattempo, il prezzo da pagare è altissimo. Troppo alto per un mondo che si fregia di definirsi moderno.


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