
Senza illusioni e senza paura
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14,25-33)
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Il commento
“Una folla numerosa andava con lui” (14,25). L’annotazione iniziale potrebbe essere trascurata per dare spazio alle parole in cui Gesù precisa le condizioni della sequela. E invece, proprio queste parole offrono una cornice che permette di dare il giusto valore all’insegnamento successivo. Le critiche dei farisei non hanno intaccato la fiducia che la gente ripone nel Rabbi di Nazaret. Eppure la sua parola è tagliente e non offre spazio ad equivoci, basta pensare agli insegnamenti che Luca ha inserito nei versetti precedenti. L’evangelista usa un verbo interessante: synporeúomai significa camminare insieme, cioè fare lo stesso viaggio. La gente non si limita ad ascoltare con attenzione ma cammina con Lui, sembra disposta a fare la sua stessa strada, manifesta il desiderio di condividere la sua missione. Stando alla narrazione lucana, Gesù cammina verso Gerusalemme (Lc 9,51). Lui sa bene che nella Città Santa non riceverà l’accoglienza festosa che il mondo riserva ai potenti di questo mondo ma incontrerà un’opposizione ancora più dura, quella che hanno già sperimentato tutti i profeti di Dio. Lui conosce bene il suo destino. La gente, invece, non lo sa. Chissà quante persone, seguendo Lui, pensano di salire sul carro del vincitore. È una sindrome diffusa in ogni tempo e ad ogni latitudine. Per questo motivo Gesù sente il bisogno di precisare nuovamente a tutti – lo aveva già fatto (9,23) – che significa stare con Lui: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (14,27). Vuole che la sequela sia una scelta libera e consapevole, vuole che tutti sappiano con chiarezza a cosa vanno incontro. Il viaggio verso Gerusalemme non è una passeggiata ma un cammino faticoso e sofferto che richiede un radicale distacco dagli affetti e dalla cose. Non ci facciamo illusioni ma non cadiamo nella paura, come insegna Teresa di Lisieux: “Il buon Dio mi dà coraggio in proporzione alle mie sofferenze. Sento che, per il momento, non potrei sopportarne di più, ma non ho paura, giacché se aumentano, aumenterà allo stesso tempo il mio coraggio” (Ultimi colloqui, 15 agosto).
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