XXXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 8 novembre 2020

Non c’è più tempo

La contraffazione è un’arte assai diffusa in ogni ambito della vita, anche in quello religioso. Falsifichiamo anche la fede, presentandola in modo più conforme alle nostre attese, modellandola a nostro uso e consumo. La parabola delle dieci vergini denuncia uno stile di vita che di fatto, e spesso al di là delle intenzioni, svilisce e/o tradisce il Vangelo.

Dal Vangelo secondo Matteo (25,1-13)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

IL COMMENTO

di don Silvio Longobardi, esperto di pastorale familiare

Le ultime domeniche dell’anno liturgico invitano a guardare verso il punto omega della storia personale e collettiva, verso quell’oltre in cui trova compimento la fatica dei giorni. È un capitolo della vita, anzi è quello decisivo. Eppure, di questo non si parla mai. Neppure quando siamo costretti a fare i conti con una pandemia che ruba i giorni e le speranze. Il Vangelo invece ne parla spesso perché il modo con cui guardiamo al giorno ultimo dona una particolare veste a tutti gli altri giorni del nostro vivere. Sapendo di camminare verso la luce, non ci stanchiamo di coltivare l’arte della speranza, senza lasciarci turbare dalle ombre che attraversano la vita. Mettiamoci in ascolto di questa Parola antica e sempre nuova. Impossibile commentare tutti i singoli aspetti di questa pagina evangelica, mi limito a richiamare quelli che possono scuotere e ferire il cuore.

Un popolo credente

Le parole iniziali della parabola offrono un’immagine semplice e suggestiva della comunità ecclesiale:

“Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini
che presero le loro lampade
e uscirono incontro allo poso” (25,1).

Vorrei scandire le parole per far sentire nitidamente tre successivi passaggi, tre aspetti dell’unico mistero. In un solo versetto troviamo una bella rappresentazione della fede nelle sue note essenziali. In primo piano appare il popolo credente, rappresentato dalle dieci vergini. Il numero non è casuale ma indica la totalità. È un popolo che cammina nella storia lasciandosi illuminare dalla fede, qui richiamata con l’immagine della lampada. Il viaggio della vita ha un traguardo preciso, un appuntamento ineludibile: è l’incontro con lo Sposo. Il popolo credente vive con la certezza di partecipare a una festa di nozze. È vero, questa festa non è stata ancora celebrata in tutto il suo splendore ma tutto quello che fin d’ora viviamo e gustiamo è un anticipo di quello che verrà donato, un semplice antipasto di un banchetto regale.

Questa cornice non è affatto scontata, vale la pena soffermarsi maggiormente per chiederci in tutta sincerità:

quanti credenti vivono con la coscienza che la vita è un pellegrinaggio
ed ha come meta ultima una festa nuziale?

Questa certezza diventa speranza e dona la grazia di vivere nella gioia ogni esperienza. Sapendo quello che ci attende, non misuriamo la vita con i singoli eventi, anche quelli più dolorosi. La gioia che ci attende, di cui possiamo già gustare una caparra, basta a saziare il cuore. “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto”, cantava Francesco di Assisi. Sono queste le parole della fede, quelle che dobbiamo custodire con amore.

Stolte e sagge

Cinque di esse erano stolte e cinque sagge” (25,2). Nelle parabole evangeliche emerge spesso il contrasto tra due persone – ad esempio, la vicenda del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14) – per sottolineare che la fede non sempre s’incarna in modo adeguato, anzi spesso trova risposte contrapposte e incompatibili. Come avviene in questo caso. Non dobbiamo scandalizzarci. La contraffazione è un’arte assai diffusa in ogni ambito della vita, anche in quello religioso. Falsifichiamo anche la fede, presentandola in modo più conforme alle nostre attese, modellandola a nostro uso e consumo. La parabola non descrive un singolo episodio e neppure una serie di errori; vuole piuttosto denunciare uno stile di vita che di fatto, e spesso al di là delle intenzioni, svilisce e/o tradisce il Vangelo.

Per comprendere l’ammonimento che Gesù consegna alla Chiesa dobbiamo tentare di descrivere i tratti essenziali di questi due diversi stili di vita.

Stoltezza indica una persona che vive in modo superficiale. Le vergini stolte prendono le lampade ma dimenticano l’olio, come se questo non dovesse mai consumarsi. Sono consapevoli di avere un ruolo privilegiato – far parte del corteo nuziale – ma non si preoccupano di avere tutto il necessario per rispondere alla chiamata. Vivono il presente senza pensare a quello che accadrà. Chi vive così, si lascia facilmente sorprendere dagli eventi. Le vergini stolte sono l’icona di quei credenti che hanno coscienza del proprio ministero ma non lo esercitano con coscienza e responsabilità, non danno spazio al discernimento. Quando giunge l’appuntamento decisivo della vita – in un giorno e in un’ora che non possono sapere in anticipo – scoprono di essere impreparati.

La saggezza indica una persona che vive con piena consapevolezza ogni cosa, s’immerge nel presente senza perdere di vista il traguardo ultimo della vita. Le vergine sagge non dimenticano l’olio, anzi si preoccupano di averne a sufficienza, perché vivono nell’attesa di quell’incontro in cui tutto si compie. Il fatto di non sapere quando avverrà accresce l’interiore vigilanza. Sono icona di quei credenti che vivono con responsabilità la loro vocazione, cercano di non venire meno al proprio compito. Non sono spinti dalla coscienza del dovere ma dalla certezza che quelle lampade non sono un titolo di onore ma servono per accompagnare il corteo nuziale, cioè per accogliere e onorare lo Sposo.

Il giorno delle nozze

La fede ci permette di distinguere saggezza e stoltezza e di compiere le scelte con maggiore accortezza. Ma non tutti misurano la vita con la fede e spesso non lo fanno neppure quelli che si dichiarano credenti. Ecco perché la storia umana appare piena di contraddizioni, si presenta come un costante intreccio di luci e di ombre, in cui la confusione rende sempre più difficile distinguere il bene e il male. Stando alla parabola, nessuno si accorge che manca l’olio, anche se nella vita vi sono passaggi in cui sperimentiamo quanto siamo limitati, tutto quello che abbiamo non basta a dare un senso agli eventi né a rivestire di gioia la fatica. Non sempre diamo il giusto valore a questi passaggi, anzi a volte allontaniamo con fastidio ogni pensiero che chiede di verificare la bontà delle scelte. Non abbiamo il coraggio di guardare dentro di noi e non ci accorgiamo che l’olio è venuto a mancare. Da questo punto di vista la parabola offre a tutti un chiaro ammonimento:

verrà un giorno in cui la luce risplenderà senza ombre
e tutte le maschere cadranno.

Le vergini stolte non si rendono conto di non poter accendere le lampade, forse pensano di fare come hanno sempre fatto nel corso della vita, lo chiedono alle compagne: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono” (25,8). Immagine emblematica di chi è abituato a vivere alle spalle degli altri. Questo gioco può durare a lungo nella vita, a volte anche tutta la vita. Ma ad un certo la partita finisce, non c’è più tempo per giocare e ciascuno deve rendere conto di quello che ha fatto. Il rifiuto delle vergini sagge non rappresenta una mancanza di solidarietà, serve per ricordare che ciascuno ha una responsabilità e deve rispondere della sua vita. Non ci sono più maschere né nascondigli, ciascuno apparirà nella sua nudità e potrà vedersi nella luce di Dio.

La festa nuziale

La parabola accenna alle vergini che entrano alla festa di nozze ma si concentra su quelle che restano fuori. La conclusione è drammatica: “In verità io vi dico: non vi conosco” (25,12). Dobbiamo leggerla come un appello e un’esortazione ad essere più vigilanti per non perdere il treno che conduce nella casa di Dio.

Teresa di Lisieux appartiene alla categoria delle vergini sagge. La sua vita è tutta orientata al giorno ultimo ma c’è un momento particolare in cui questo desiderio appare in tutta la sua luminosità. Quando vede i primi sintomi della grave malattia che la condurrà alla morte, scrive così:

“Ah! avevo l’anima piena di grande consolazione, ero intimamente persuasa che Gesù nel giorno commemorativo della sua morte voleva farmi udire un primo invito. Era come un dolce e lontano mormorio che mi annunciava l’arrivo dello Sposo” (Ms C 5r).

Com’è distante questa coscienza di fede dalla nostra! Di fronte agli eventi dolorosi, avvertiamo una sorta di ripugnanza, anzi un netto rifiuto. Teresa invece vede la malattia come l’annuncio che lo Sposo sta per arrivare. Nelle sue parole ci sembra quasi di udire un’eco del Cantico dei Cantici, lì dove la sposa annuncia così l’arrivo ormai prossimo del diletto: “Una voce, l’amato eccolo viene, saltando per i monti, balzando per le colline” (2,8). In questo caso, però, lo Sposo viene attraverso una malattia terribile che in pochi mesi consumerà i giorni della giovane monaca.

Nella scia di Teresa, e con l’aiuto della sua intercessione, oggi chiediamo la grazia di vivere ogni evento con il cuore in festa, malgrado la fatica e il turbamento; chiediamo la grazia di fare della vita un pellegrinaggio che troverà la sua conclusione nella festa nuziale.

Sia questa la certezza che abita il nostro cuore e dia luce alla nostra vita. Amen


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