
La veste del discepolo
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,7-10)
In quel tempo, Gesù disse: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Il commento
“Siamo servi inutili” (17,10). Le parole conclusive descrivono l’identità del discepolo con un sostantivo e un aggettivo che devono restare sempre uniti. Oggi mi soffermo sul primo vocabolo. In ambito ecclesiale siamo così abituati a usare il vocabolo servo – sia pure nell’accezione più raffinata di ministro – da dimenticare che questo termine ha un significato dispregiativo: se diciamo a qualcuno che si comporta come un servo, non la prende affatto bene, anzi la riterrà come un’offesa. Nessuno vuole essere servo. Al contrario, tutti vogliono essere padroni, quanto meno della propria vita. In apparenza è un’ambizione più che legittima, in realtà chi ragiona così si mette al posto di Dio. Ci sono quelli che affermano di non volere padroni. Mai e in nessun caso. Pretendono di esercitare la propria libertà nel modo che ritengono più conforme alle proprie aspirazioni. Anche questo modo di pensare sembra giusto, anzi appare pienamente conforme alla dignità della persona. In realtà, chi si incammina per questa via, finisce inevitabilmente per escludere Dio dal proprio orizzonte. Gesù invece non teme di sporcare la sua dignità quando si presenta come “colui che serve” (Lc 22,27). Per questo chiede ai discepoli di fare altrettanto. Essere servi significa avere coscienza di vivere dentro una storia che appartiene a Dio, a Lui dobbiamo rendere conto. Chi fa della propria vita un servizio, non diminuisce ma esalta la sua umanità perché indossa la stessa veste del Figlio di Dio.
J.H. Newman (1801-1890) è uno dei grandi pensatori cattolici dell’Ottocento. Tutta la sua vita si è svolta nel segno del servizio. Era un giovane diacono quando scrisse queste parole: “Devo accogliere gli impegni del mio ufficio con la convinzione di essere un servo di Cristo e di avere il compito di annunciare il Vangelo; con la persuasione del valore delle anime e di dover rendere conto un giorno di tutte le occasioni che mi si sono presentate”. Questa coscienza umile di sé lo ha condotto a camminare rapidamente sulla via della santità. La stessa via che oggi ci impegniamo a percorrere.
Un commento to “La veste del discepolo”
10 Novembre 2020
Mariaconcetta Di LecceSignore aiutaci a diventare più consapevoli della nostra creaturalità! Guidaci nel riconoscere sempre quella seducente superbia. Grazie Gesù