
(Foto: https://www.facebook.com/congiulia03)
“Fino a quando, Signore?”: la fede nella sofferenza
Quando il male entra con prepotenza non sappiamo che fare, anche le parole della fede appaiono inadeguate. A volte, è triste ammetterlo, facciamo fatica anche a pregare. Siamo costretti a dire: “Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto” (Is 38,14). Ma se il cuore si stacca da Dio, se non sappiamo più guardare verso di Lui, l’orizzonte diventa ancora più cupo.
«Carissimo, ti chiedo di pregare per Giulio, un bimbo di 2 anni che lotta contro una leucemia molto aggressiva. Oggi si è aggravato. È un piccolo martire. Il papà chiede preghiere. È un uomo di grande fede ma oggi appare stanco e lacerato dal dolore. Possa il Signore donare, a lui e alla moglie, il coraggio e la forza di affrontare ed accogliere la volontà di Dio. Prega anche per noi. A volte mi sembra di non farcela, poi mi vengono in mente le parole di Giobbe: “il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore”. Parole difficili da pronunciare, ma sono le uniche che danno conforto e sostegno. Ti abbraccio».
Non è raro, purtroppo, ricevere messaggi come questi, carichi di dolore e di domande alle quali nessuno può ragionevolmente dare una risposta. In questo caso si tratta di amici che condividono la sofferenza di genitori visibilmente travolti da uno tsunami che sembra soffocare ogni speranza. Mi consegnano il loro dolore nella certezza che diventi preghiera. Forse attendono anche qualche parola che possa aiutare a sollevare lo sguardo per non rimanere impigliati nella rete di un’angoscia che toglie il respiro. Non è facile accogliere questo dolore, ancora più difficile è trovare parole capaci di lenire la desolazione interiore.
Quando il male entra con prepotenza non sappiamo che fare, anche le parole della fede appaiono inadeguate. A volte, è triste ammetterlo, facciamo fatica anche a pregare. Siamo costretti a dire: “Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto” (Is 38,14). È la reazione emotiva dinanzi ad un evento che consuma ogni energia. Ma se il cuore si stacca da Dio, se non sappiamo più guardare verso di Lui, l’orizzonte diventa ancora più cupo. Meglio allora gridare, come fa il salmista: “Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? / Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” (Sal 13,2). La preghiera diventa un grido, sembra quasi una ribellione al destino che Dio ci assegna, ma è pur sempre una preghiera. In questi casi è l’unica che possiamo fare con tutta sincerità perché esprime l’estrema debolezza del nostro essere. In fondo, anche quando non ne abbiamo coscienza, la preghiera è anzitutto la confessione della nostra fragilità, ci sentiamo come foglie portate dal vento, per questo supplichiamo il buon Dio di non abbandonarci e di intervenire tempestivamente. Abbiamo paura di annegare.
Malgrado la fede, quando siamo immersi nei drammi della vita, sperimentiamo l’ansia e la paura perché non sappiamo come affrontare e gestire quegli eventi che sono più grandi di noi. Siamo sempre impreparati, anzi ci sentiamo radicalmente incapaci. In quanto discepoli di Gesù dovremmo sapere che non si arriva a Dio se non siamo disposti a camminare con Gesù sulla via della croce. Dovremmo saperlo, anzi lo sappiamo ma questo non ci impedisce di trovarci a disagio quando il male s’intrufola nella nostra vita, mette a soqquadro la casa arredata con tanta pazienza e costringe a ripensare tutti i progetti che avevamo messo in cantiere.
Il buon Dio conosce la nostra inguaribile debolezza. Per questo ci manda bambini e ragazzi che, pur gravati da una pericolosa malattia, hanno saputo dare una testimonianza commovente. Non sono pochi, anzi la lista aumenta di anno in anno. Invece di consegnare altre parole ci dona persone che hanno aperto un varco di luce nell’orizzonte oscuro della sofferenza. Sono loro la parola che Dio oggi ci dona per affrontare il male.
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Tra queste diverse esperienze vorrei ricordare quella di Giulia Gabrieli (1997-2011). È morta a 14 anni, dopo due anni di sofferenza a causa di un tumore. Sembra incredibile che una ragazza della sua età abbia saputo affrontare la malattia con una capacità emotiva e interiore ben superiore ai suoi anni. Invece di abbatterla, la malattia ha favorito una maturazione ancora più rapida fino al punto di lasciare una traccia luminosa che ha sorpreso tutti quelli che hanno avuto modo di incontrarla. Se non fosse accaduto sotto i nostri occhi, se non avessimo le testimonianze di amici e medici, oltre i familiari, potremmo pensare che si tratti di una vicenda costruita ad arte. Tutto è accaduto in anni recenti e sotto lo sguardo di tutti.
Nell’ultimo anno della sua vita ha voluto scrivere un libro, pubblicato dopo la morte, in cui racconta la sua testimonianza. Vi consegno solo una pagina che raccoglie lo sguardo innocente di una ragazzina che ha tanta voglia di vivere ma non vede la morte come un ostacolo.
«Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono spaventati. Non bisogna avere paura. È proprio questo allontanamento che mette timore a noi malati. Se invece gli altri ci stanno vicino, ci vengono accanto, ci mettono una mano sulla spalla e ci dicono: dai che ce la fai, è quello che ci dà la forza di andare avanti. Se questo non succede, ti chiedi: perché vanno così lontano? Se loro, che non sono coinvolti in prima persona, hanno paura, allora anch’io devo temere. Perché dovrei lottare per la guarigione, se nessuno mi sta accanto? Io non ho avuto nessuno che si è allontanato da me, anzi estranei, persone che non conoscevo si sono avvicinate a me. Ma non tutti sono così fortunati, io invece vorrei che fosse così per tutti.
Ora io so che la mia storia può finire soltanto in due modi: o grazie a un miracolo con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare e li vorrei realizzare proprio io oppure incontro il Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due finali molto belli!».
La conclusione ci lascia senza parole. La fede di questa ragazzina vince ogni nostra paura. Le sue parole valgono più di mille discorsi. Non siamo perciò stupiti che la diocesi di Bergamo ha voluto aprire la causa di canonizzazione. Possiamo dunque invocarla e chiedere la sua intercessione. In particolare per quei genitori che lottano e soffrono per i loro figli.
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